All’indomani della Notte degli Oscar, arrotolato il red carpet e dati i gidizi estemporanei alle meglio vestite, si fanno i conti con i premi veri e propri. Se il 2014 aveva visto l’Italia trionfare nella categoria “Miglior film straniero” con il vaudeville di Paolo Sorrentino, quest’anno l’ambasciatrice tricolore al Dolby Theatre è stata Milena Canonero, che si è aggiudicata la statuetta per i costumi di Gran Budapest Hotel di Wes Anderson.
Questo non è di certo il primo riconoscimento per la professionista di origini torinesi che, nel corso della sua lunga carriera, ha collezionato nove nomination e ben tre altre statuette, oltre a un numero imprecisato di premi e candidature come BAFTA Awards, Academy Awards e Nastri d’Argento.
Il 1976 fu l’anno del trionfo agli Oscar di Barry Lyndon, il capolavoro di Stanley Kubrick tratto dal romanzo di W.M. Thackeray. Tra gli onirici tableaux vivants che sembravano sottratti a un quadro di Füssli, si muovevano i personaggi interpretando gli abiti grandiosi, emblema della posizione sociale, dei vezzi e dei vizi. Quello tra il regista e Milena Canonero fu un sodalizio duraturo ed estremamente fruttuoso, che portò alla realizzazione dei costumi di Shining nel 1980 ma che, qualche anno prima, precisamente nel 1971, aveva decretato il debutto della costumista nel mondo del cinema. La prima collaborazione tra i due resta cristallizzata nei fotogrammi di Arancia Meccanica e nei suoi originalissimi costumi: i miniabiti in vinile abbinati a parrucche viola, rosa, verdi o la divisa dei drughi, paradigma di uno stile british (con tanto di bombetta e bastone) sovvertito dalla visione distopica.
In tempi recenti, Milena Canonero torna a confrontarsi con il genere storico, ambito nel quale eccelle: è il 2007, l’anno di Sofia Coppola e della sua Marie Antoinette, ovvero la reinterpretazione pop-rock di uno dei personaggi più romanzati dell’età moderna. Così, tra intrighi di corte e parrucche voluminose, variopinti macarons e una colonna sonora singolare, svettano gli abiti sapientemente architettati, le stoffe pregiate, i ricami, i fiocchi, le rouches.
E poi ancora le sahariane di Meryl Streep in La mia Africa, gli abiti in stile “roaring Twenties” di Cotton Club di Francis Ford Coppola, la nobiltà siciliana de I Viceré…
Sono molteplici le declinazioni dell’originalità per Milena Canonero, un’artista che ha sempre saputo interpretare il tema nel modo ideale, al punto che verrebbe difficile, oggi, immaginare un’altra chiave di lettura. Sempre con l’eleganza di chi attraversa i secoli, passando con disinvoltura dallo storico al fantastico, e sa connotare alla perfezione ogni personaggio per consacrarlo alla contemporaneità e all’immaginario collettivo.
by Letizia Dabramo