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Esiste una pittura che racconta, una che esamina, una che descrive, quella di Ivano è una pittura che denuncia. Lo fa con i colori lo fa con i simboli convenzionali. Denuncia l’uomo, il suo sistema attuale, quello corrotto, quello di “plastica”

Ivano inoltre ci fa capire con le sue opere che l’uomo ha tre mondi, quello reale, quello onirico e quello profondo del suo essere, lui ci propone realtà diverse facendocele credere tutte vere. Non si percepisce dove inizia la realtà e dove finisce la finzione, il margine sottile tra disillusione e sogno, tra realtà e finzione, tra serio e faceto si è definitivamente dissolto.

Tutto questo, in realtà, è parte di un gioco complessivo è sottile in cui l’estraniante, il ribaltamento del senso apparente, la sospensione del comprensibile e il simbolo acquistano il ruolo fondamentale.

I presupposti ideologici e la matrice culturale di Ivano Marchionne vanno ricercati nella psicanalisi oltre che nella storia dell’arte.

 

Ivano Marchionne è incamminato su una strada coraggiosa, che rifugge l’esasperazione degli “ismi”, una strada propria di chi ha compreso come l’irruenza della gioventù creativa non vada necessariamente involgarita con la foga gestuale o lo sterile revivalismo espressionista.

La pittura di Ivano è una pagina di poesia meditata e meditabonda, costruita con estremo rigore, con un’umiltà che stupisce.

L’orizzonte metafisico dei paesaggi, assetati di neri, di rossi, di gialli, si trasfonde intero nei ritratti.

La donna – bambina di Ivano è madre natura, sospesa sul crinale di dimensioni multiple, tra l’irrisolutezza e la rassegnazione, che , muta, con occhi enormi, profondi, di chi conosce già il disagio, di chi già sa’ lo spiacevole epilogo, si chiede se sia giusto che una petroliera attraversi un’oceano, se sia giusto che la terra venga bagnata da’ piogge acide, se sia giusto che i materiali radioattivi finiscano nelle acque.

 

È un’arte, questa, solo apparentemente gradevole, anche se certamente ben congegnata in relazione al godimento estetico. L’enigma iconografico si nutre di queste tenerissime e insieme desolanti presenze-assenze, di occhi spalancati su un mondo che è il nostro; quasi che le risposte siano disperatamente ricercate, in un tragico corto circuito gnoseologico esistenziale, proprio nei luoghi da cui partono le domande, nei volti di coloro che guardano il quadro.

La consistenza lunare dei volti, la loro complessità materica è senza dubbio il frutto di una perizia pittorica di una scuola di gran razza; essa si arricchisce talvolta di screziature preziose, cangiantismi, bruniture che descrivono impietosamente la linea d’ombra delle nostre razionali e umanissime certezze. L’incrinazione dell’animo che Ivano descrive si nutre tuttavia anche di una delicata, avvolgente sensualità, non lontana da quelle dimensioni esistenziali in cui l’ambiguità, un certo sottile erotismo si identifica e si nutre di un disperato mutismo, di un offrirsi disincantato.

 

Si è detto che Ivano rifugge il facile citazionismo, la troppo diffusa convinzione che un giovane debba guadagnarsi ad ogni costo l’etichetta d’espressionista per essere definito pittore, quasi che la giovinezza creativa debba coincidere necessariamente con l’urlo: troppo facile, inevitabilmente stonato. E tuttavia, seppur ricomposto in una dimensione di bella e buona pittura, seppur sublimato in un orizzonte di nuovo classicismo, permane l’impronta di una tradizione pittorica e culturale che l’artista ben conosce.

L’esistenzialismo nordico dei drammi di Ibsen, ma soprattutto della drammaturgia espressionista di un Bacon o di un Munch agiscono come una sorta di basso continuo di tutto la pittura di Ivano, ritornando nell’esasperazione somatica, nella deformazione della tradizione ritrattistica, nel mutismo irrevocabile cui la pittura condanna il pur prezioso retaggio mimetico.

L’attitudine a un contrasto di fondo ci pare poi specchio di un’inquietudine tutta novecentesca e insieme assai moderna: a volte gli sfondi, risolti in campiture decise, spesso vere strisce orizzontali, arricchiti di particolari vivaci d’apparente gusto naïf, memori di un certo “muralismo” d’arte popolare, di brani d’iperrealismo d’oltreoceano si stagliano alle spalle di volti intrisi di cromie ottuse e stratificate; altre volte gli stessi sfondi, nutriti di una consistenza cromatica sanguigna, di un fagocitante potere attrattivo alle soglie dell’astrattismo materico, sono il contrappunto di visi di una semplicità disarmante, eppure sempre nutriti di allusioni a sostanze diverse, ora lignee, ora madreperlacee.

Sempre una vitalità solo apparentemente infantile si ribalta e si elide in una pittura sofferta e complessa.

 

Occhi aperti sul mondo, si diceva, ma pure labbra serrate in esistenze sospese in un mondo inquieto, costruite pure attraverso una pittura di sottesi contrasti e malcelate tensioni. L’inquietudine si dimostra allora, ancora una volta, la cifra esatta per giudicare e comprendere il mondo pittorico di Ivano, che a prima vista ci era parso così accomodante, felice, di piana e riposante comprensione.

 

Ancora una volta, a guardare lontano, par di capire, l’ironia inconsapevole correrà a salvarci.

Emira M'sakni

Emira M'sakni

Founder e Creative director @spaghettimag Cool Hunter | Sun Addict | Moody |