In molti pensano che il sakè sia simile a una grappa e che vada servito caldo a fine pasto, ma non è così. Questa bevanda alcolica giapponese è molto più simile a un vino, che si ricava dalla fermentazione del riso e che va servito fresco:
la temperatura ideale è intorno ai 9°!
Iniziare un viaggio alla scoperta di questa bevanda millenaria la cui origine si fa risalire al 712 d.c. non è affatto semplice, ma voglio provare a capirci qualcosa di più.
La parola Sakè in giapponese in realtà si riferisce a qualsiasi bevanda alcolica (vino, birra, liquori, etc.), mentre il temine più corretto per questo tipo di prodotto sarebbe Nihon-shu, letteralmente “alcol giapponese”. Esso si ricava principalmente da riso e acqua, che interagendo con microorganismi come muffe e lieviti daranno poi il via alla fermentazione che produrrà il famoso composto finale. Ma ecco qui tutte le fasi della lavorazione e della produzione del sakè:
– Levigazione del riso
– Lavaggio, Cottura e Separazione
– Fermentazione (indotta tramite la giunta di muffe e altri enzimi)
– Pressatura e Imbottigliamento
Ma conoscete le vere peculiarità di questo vino di riso che gli antichi chiamavano l’acqua dei pazzi? Ebbene, pare che esso possieda ogni genere di virtù: dalla purificazione del sangue all’essere un rimedio contro l’inappetenza. E allora lasciatevi incuriosire dalle tante varietà di sakè e siate più disponibili verso un tipo di gustosità forse un po’ lontana da quelle a cui siamo quotidianamente abituati.
Sappiate che in Giappone ci sono oltre 1300 produttori (cosiddetti Kura), ognuno dei quali produce più di una tipologia di sakè. Per andare a colpo sicuro occorre affidarsi ai nomi più blasonati del settore: Hakkaisan (produttore omonimo), Isojiman (produttore omonimo), Juyondai (prodotto da Takagi Shuzo), Nabeshima (di Fukuchiyo Shuzō) e Michisakari (produttore omonimo).
“I vini ci vengono incontro, basta esser pronti a scoprirli. I sakè restano a tre passi di distanza, spetta a noi trovarli. Richiedono una maggior attenzione, ma ne vale la pena” (Serge Dubs, Chef Sommelier).
By Claudio Limina