“Quando a diciotto anni decise di mollare tutto e partire in giro per il mondo, non fu la voglia di ricchezza a motivarlo, bensì la fame di cono- scere e scoprire ciò che stava oltre confine.” La sua, è la storia di un guerriero che lotta per la sua terra e che grida forte le sue origini. Uno di quei personaggi che vuole davvero fare qual- cosa di buono per la gente che lo ha cresciuto. Se oggi, per alcuni, preparare pane e pomodoro è quasi una moda, per lo chef Pietro Parisi significa rivalutare il passato e riscoprire i profondi legami della sua infanzia: come quello con la Nonna Nannina, sua vera guida e ispirazione negli anni. La ricerca della genuinità e della stagionalità sono, poi, altri capisaldi della sua cucina, definita da alcuni “cucina del riuso” proprio perché è dagli scarti che nascono a volte le ricette migliori.
Pietro, però, non è solamente uno chef contadino con un profondo rispetto verso la natura, egli è anche un cuoco di grande talento che ha avuto modo di formarsi alla corte di maestri del calibro di Alain Ducasse e Gualtiero Marchesi: una grande opportunità per acquisire una notevole dose di tecnica da spendere, poi, una volta rientrato a casa.
Dal 2005, infatti, Pietro Parisi gestisce il suo ristorante-laboratorio “Era Ora”, con l’obiettivo di inserire il suo territorio natìo negli itinerari della buona cucina italiana. Oltre cento posti a sedere a Palma Campania, poco distante da Napoli, e un menù che propone una selezione di piatti con prodotti a km zero e materiali spesso considerati di scarto, i quali riescono a dar vita a un’emozione unica di sapori e profumi. Per tutte queste ragioni, abbiamo voluto intercettare, incontrare e interpellare questo creativo ragazzo vesuviano al fine di farci raccontare qualcosa di più e capire il suo punto di vista sulle cose: godetevi qui di seguito la sua intervista completa!
– Brevemente, qual è stato il suo percorso per diventare chef?
Il mio percorso da cuoco è stato un girovagare per il mondo, ma le esperienze professionalmen- te più significative sono state quelle da Ducasse e Marchesi. Chi invece ha fatto “scoppiare” in me la voglia di fare tutto questo è stata mia Nonna Nannina, con la quale sono cresciuto nei campi di pomodori e che mi ha trasmesso amore e pas- sione per il buon cibo.
– Cosa significa essere uno chef italiano e lavorare all’estero?
Per me, un cuoco all’estero deve necessariamente apprendere le nuove culture e conoscere i luoghi e i prodotti del luogo, ma allo stesso tempo por- tare la propria territorialità senza mai rinnegar- la, al fine di farla conoscere a quanta più gente possibile.
– Come definisce il suo stile e la sua arte culinaria?
Semplice , emozionante , buona.
– Come crea una ricetta? Dove trova l’ispirazione?
Costruisco le mie ricette pensando in primis al territorio. Cerco sempre di trasferire al piatto tutto quello che di buono c’è intorno a me, cer- cando di collaborare inoltre con produttori e al- levatori locali.
– Come riconosce un buon ristorante al primo colpo d’occhio?
Lo si capisce subito da come presenta il menù, con quanto amore e generosità viene raccontato il lavoro e l’impegno che ci sta dietro: anche uno spaghetto al pomodoro “decantato” nella giusta maniera diventa un piatto da re.
– Da quale area geografica provengono le sue più forti influenze in cucina?
Le mie influenze culinarie vengono direttamente dal mediterraneo e dal sud Italia, amo profon- damente la Campania.
– Qual è il suo ristorante preferito?
In realtà, non c’è un ristorante preferito ma amo quei locali in cui regnano le massaie e i piatti fat- ti con ricette semplici, e soprattutto con prodotti tipici del territorio.
– Qual è il suo segreto per cucinare la pasta al pomodoro?
Anche qui, non c’è un segreto. Bisogna farlo con amore e utilizzare ottime materie prime.
– Cosa le piace mangiare?
Adoro mangiare il gattò di patate, la parmigiana di mia mamma, la pizza e le polpette al ragù.
– Un ricordo della sua infanzia legato al cibo?
Ripenso spesso a quando a piedi scalzi correvo da mio nonno per innaffiare i campi di pomodo- ri san Marzano. Io lo aiutavo e mangiavo, poi, quei pomodori per merenda, strappandoli diret- tamente dalla pianta. Forse non ritroverò mai più quel sapore, ma sono contento di aver avuto la fortuna di poterlo assaporare.
“La cucina italiana all’estero è in molti casi affidata a non italiani. Come le grandi firme della moda e del design, anche le ricette della tradizione italiana vengono imitate e stravolte in ogni parte del mondo a opera di cuochi con pochi scrupoli, ma ben consapevoli del valore che ha l’aggettivo ITALIANO nella ristorazione: ecco perché mi capita di vedere spaghetti al pomodoro preparati con l’origano.”
By Claudio Limina
Spaghettimag #03
Ed.Cartacea