Skip to main content

Marcel Duchamp incarna il sovvertimento, la metamorfosi della nozione di arte del Novecento. Attraverso la sua personalità e, congiuntamente, la sua arte, ha voluto porre fine all’arte con la “A” maiuscola, per approcciarsi ad un concetto innovativo e rivoluzionario che ha rappresentato le fondamenta dell’arte cui tutt’ora ci interfacciamo.

L’arte di Marcel Duchamp impersona il sovvertimento del concetto di arte

L’arte di Marcel Duchamp è tra le più emblematiche e controverse della storia. Enigmatico, indecifrabile, paradossale, dissacrante e provocatorio, l’artista impersona le dinamiche del paradosso e della satira attraverso un’arte che si è posta quale elemento di rottura rispetto alle rigide schematizzazioni mentali imposte dalla società borghese.

Le sue opere vertono intorno ad una nuova concezione di arte, che include l’elemento concettuale, arrivando, così, a delineare e a capitanare la contemporaneità. Idolatrato e, al contempo, criticato (giudizi paradossali, come del resto l’allocutore al quale sono rivolti), l’artista si è imposto nel panorama artistico quale fautore dei cosiddetti “ready-made”.

Marcel Duchamp e la sua percezione dell’arte attraverso i “ready-made”

Marcel Duchamp, con i suoi “ready-made”, di impronta tipicamente dadaista, avviati nel 1913, propose una nuova chiave di lettura del concetto di arte, ribattezzando la stessa quale soggettiva e non contraddistinta da un valore universale imposto dagli estimatori al fine di omologare e conformare il gusto collettivo.

I “ready-made” (letteralmente: prefabbricato, pronto all’uso), rappresentavano l’abolizione da parte di Duchamp della qualità individuale e artigianale dell’arte e la provocazione nel giocare non tanto con le forme, quanto con le loro funzioni. Propriamente, si trattava di impiegare in campo artistico oggetti della vita quotidiana, la cui vista e il cui uso ci sono famigliari. Il significato intrinseco della provocazione, risiedeva proprio nel riproporli quali oggetti d’arte, spiazzando e stravolgendo ogni aspettativa. Dunque, per Duchamp, l’arte non era più “fare”, ma “scegliere”. Chiunque, in tal senso, poteva pertanto essere artista e tutto poteva diventare arte. La sua intenzione non era altro che quella di sbarazzarsi dell’apparenza di opera d’arte.

“Fontana”: analisi del ready-made duchampiano più emblematico

Il ready-made duchampiano più esemplificativo è “Fontana” (1916). Quando Duchamp espose la sua “Fontana”, con lo pseudonimo di “R. Mutt”, la critica insorse. L’oggetto, infatti, non era altro che un orinatoio rovesciato, di quelli che si usano nei gabinetti pubblici. L’ironica beffa, fu resa ancora più provocatoria dalla firma dell’autore e la data apposte in basso a sinistra.

In seguito, l’originale fu disperso perché, nel corso di un trasloco, i facchini lo scambiarono per quello che era e lo gettarono via. Duchamp non poteva aspettarsi esito migliore. L’oggetto-orinatoio che, sottratto dal suo contesto, diventava fontana (quindi arte), tornava poi ad essere oggetto e, dunque, come tale trattato e distrutto, come distrutta era definitivamente l’arte con la “A” maiuscola.