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Dopo i capitoli Robotizzati – Esperimenti di Moda (Palazzo Wegil 2020), Favole di Moda (Teatro Torlonia 2022) e Roma è di Moda – Via Veneto edition ( Via Veneto 2022), e dopo un’accurata ricerca avvenuta in importanti archivi storici come AnnaMode Costumes, Modateca Deanna, archivio Max Mara e Ken Scott, archivio Doria 1905, Stefano Dominella – curatore della performance insieme a Guillermo Mariotto – presenta una nuovo mostra dal titoloThe Sweet Sixties. Narrazioni di Moda” e fa rivivere l’icona Mary Quant attraverso i capi in eposizione presso il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo a Roma. In mostra ben cinquanta look che, attraverso il fenomeno dell’upcycling, uniscono capi storici, vere icone di stile, con abiti e accessori recuperati nei mercatini e nei negozi vintage i quali rappresentano in questo momento il vero trend della moda internazionale, adottato soprattutto dalle giovani generazioni che amano recuperare dal passato per renderlo contemporaneo. Ecco le tinte audaci e naturalistiche firmate dalla genialità creativa di Ken Scott, definito “il giardiniere della moda” proprio per le sue stampe floreali. E poi i lembi di pelle coperti soltanto da 40 cm di tessuto di Mary Quant, fino ai motivi futuristici disegnati da Courrèges, Paco Rabanne e Pierre Cardin. Come non citare i colorati cappotti di Max Mara, rubati al guardaroba maschile e reinterpretati con tinte vivaci. La moda degli anni Sessanta rivive dunque di nuova vita attraverso una mostra dove abiti, scarpe, dischi e accessori diventano “manifesto” per raccontare le dolcezze di quegli anni.

«Questa è la decade in cui i giovani si sono scoperti tali per la prima volta» racconta Stefano Dominella. «Una dimensione fortemente borghese, all’improvviso, si è trovata a fare i conti con l’effervescenza britannica dei sixties, il ritmo dei Beatles, il fascino di James Bond, la minigonna di Mary Quant e le tendenze in fatto di moda di Soho e Kensington. E poi i film con Doris Day, Brigitte Bardot a Saint Tropez, Catherine Deneuve, Jane Fonda in Barbarella» 

Dunque, cinquanta creazioni per cinque capitoli, cinque sale, cinque filoni narrativi per raccontare la parte più leggera e sognante degli anni Sessanta. Un esperimento che, facendo suo il linguaggio della contaminazione visiva e dell’upcycling, guarda alla moda di quegli anni come ad un archivio da consultare e valorizzare attualizzando l’identità culturale di una decade complessa e multiforme.