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L’abito si fa corpo, il nudo ne riflette l’anima in un’erotica rivoluzione visiva che provoca e sconvolge con eleganza il perbenismo. In occasione del centenario della nascita, il Museo dell’Ara Pacis di Roma ospita, sino al prossimo 10 marzo, la mostra “Helmut Newton. Legacy”: oltre 200 scatti d’autore, alcuni mai visti, documenti e  prestigiosi magazine per omaggiare lo sguardo visionario sul mondo del fotografo berlinese di origine ebraica. «Il mio lavoro come ritrattista è quello di sedurre, divertire e intrattenere», dichiarava l’artista che già a 16 anni, da apprendista, aveva imparato il mestiere affiancando Yva, pioniera della fotografia di moda nell’allora Repubblica di Weimar e famosa per le sue figure oniriche, fino a quando, nel 1938, partirà alla volta dell’Australia dove avrà inizio la sua immensa carriera. Materiali d’archivio, copertine fashion, pubblicazioni speciali e circa 80 opere, per la prima volta in esposizione, ne raccontano la genialità. «A Parigi, dove si trasferì con la moglie June, Newton lavorò specialmente per l’edizione francese di Vogue, dal 1961 in poi, e Harper’s Bazaar: un esempio di questa collaborazione è lo scatto del 1976 che ritrae una coppia elegante in un albergo di lusso, esposto tra quelli inediti scelti per la Capitale. In Costa Azzurra e a Hollywood, realizzò numerosi lavori su commissione, ad esempio per Lavazza. Attraverso i suoi occhi è riuscito sempre a cogliere lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, a volte persino anticipandolo con le sue innovazioni- sottolinea nel testo critico Matthias Harder, direttore della Fondazione Helmut Newton che ha curato il percorso espositivo – È forse proprio per questo che è stato ripetutamente ingaggiato, fino all’ultimo, dalle riviste più disparate per le sue versioni e visioni della moda contemporanea e per fotografare grandi personaggi dell’élite culturale internazionale. Questo aspetto della sua attività è visibile nel ritratto di David Hockney per The New Yorker o in alcuni scatti di commiato, cupi e quasi malinconici, come “Leaving Las Vegas”. Si tratta di un’opera libera, un’istantanea, anche un po’ sfuocata, che integrò comunque sotto forma di grande stampa in bianco e nero in uno dei suoi ultimi progetti, “Sex and Landscapes”». La retrospettiva capitolina è un ideale libro in sei capitoli, da sfogliare grazie all’allestimento site-specific delle sale museali, che narra cronologicamente la storia umana e professionale di Newton dagli esordi degli anni ’40 fino ai celebri servizi degli anni ’80, viaggiando dagli Stati Uniti a Monte Carlo. Si entra così nel cuore del processo creativo che svela immagini iconiche per la memoria collettiva come la serie “Big Nudes” del 1981. E, ancora, il rapporto con gli stilisti di fama planetaria che hanno avuto la lungimiranza di percepire la sua dissacrante fantasia: André Courrèges lo scelse per il periodico britannico Queen nel 1964, Yves Saint Laurent, Coco Chanel,  Karl Lagerfeld, Thierry Mugler ne apprezzeranno l’estro avanguardista consacrandolo nel panorama mondiale. «Mi sono avvicinato a lui non senza pregiudizi, e sono caduto anch’io, lo ammetto, nel facile gioco degli stereotipi e delle approssimazioni: Henri Cartier-Bresson il re del momento decisivo, Elliott Erwitt e la sua irresistibile ironia, e così via. Quando però ho avuto la magnifica occasione di incontrare Harder per l’organizzazione della rassegna a Palazzo Reale di Milano, ho capito che non è stato semplicemente un provocatore, the “King of Kink”, com’era soprannominato. Non era tanto o solo il maestro del nudo femminile. È stato soprattutto capace di reinventare il linguaggio fotografico, osando qualcosa che nessuno aveva fatto prima nell’universo della fotografia commerciale. Certo, non è il solo a innovare: Martin Munkácsi, William Klein, Richard Avedon avevano già contribuito a riscrivere il vocabolario moderno, costruendo un immaginario slegato dalla descrizione pedissequa dell’abito- scrive il curatore Denis Curti nel volume “Capire la fotografia contemporanea. Guida pratica all’arte del futuro”, pubblicato da Marsilio Editori -Lo abbiamo visto, con loro le modelle lasciavano lo studio per immergersi nello spazio pubblico e quotidiano delle città. Nel loro caso era questa inedita traslazione di luogo e contesto fisico a determinare l’effetto di novità dirompente. D’altra parte, molto prima dei ban dei social network, le fotografie di Newton sono state al centro delle critiche del movimento femminista: l’accusa era quella di fare pornografia, di diffondere l’estetica di una “donna oggetto”. Nei “Big Nudes”, però, quella che ci viene restituita è l’immagine di donne imperiose, delle virago padrone del proprio corpo. Non è degradazione, ma rovesciamento delle regole dell’erotismo. Pensiamo a Charlotte Rampling, scattata in una camera d’hotel nel 1973. L’attrice, senza veli, il profilo a tre quarti, ha in mano un bicchiere ed è seduta su un tavolo su cui sono poggiati un pacchetto di sigarette e la chiave della stanza. In quel periodo, Rampling stava girando “Il portiere di notte”, controversa pellicola di Liliana Cavani sull’incontro tra un’ebrea sopravvissuta ai lager e il suo aguzzino, un film che ha non solo spaccato in due la critica, ma è stato addirittura considerato “offensivo del comune sentimento del pudore” e sequestrato per ordine della Procura della Repubblica di Roma. Qui Newton si fa voyeur e del resto, come sosterrà lui stesso, se un fotografo dice di non essere un guardone allora è un idiota. Nel 1976, per pubblicizzare un trench Burberry trasparente, decise di ritrarre una donna nuda con solo l’impermeabile addosso offrendosi al fraintendimento. In seguito, Facebook oscurerà addirittura la pagina di riferimento perché lo scatto “Tied up Torso” del 1984  non rispettava gli standard richiesti». Shooting ispirati alla cinematografia di Alfred Hitchcock, François Truffaut e Federico Fellini, la sua intensa attività ritrattistica ha immortalato i volti di Gianni Versace, David Bowie, Elizabeth Taylor, Andy Warhol, Romy Schneider, Catherine Deneuve, Mick Jagger e molti altri. Così come la dote innata di catturare le suggestive atmosfere di località italiane tra cui Montecatini, Firenze, Milano, Capri, Venezia e, ça va sans dire, la Città Eterna. Lo dimostrano le otto foto della ricercata serie “Paparazzi, quasi un tributo alla “Dolce vita” romana.

Gustavo Marco Cipolla

Gustavo Marco Cipolla

Storyteller, appassionato di tutto ciò che è indie, travelholic. Mi piace raccontare le immagini attraverso le parole e impazzisco per l’alternative rock. Collaboro con diverse testate nazionali, mi occupo di moda, arte, cinema, musica e LifeStyle. Svolgo, inoltre, l'attività di addetto stampa, content writer e communication consultant in ambito culturale e per alcuni brand. Penso dunque scrivo.