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Un infortunio al ginocchio interrompe la sua carriera come ballerina, ma la disciplina e la determinazione che l’hanno temprata le permettono di trasformare un sogno infranto in un nuovo inizio.

Denise Capezza, impegnata a destreggiarsi tra un progetto e l’altro nel panorama cinematografico italiano dopo una sorprendente parentesi in Turchia, si confessa in un’intervista per SpaghettiMag.

Chi è Denise Capezza? Come descriveresti l’essere umano dietro l’attrice?

Bella domanda esistenziale! 

Conoscere se stessi è uno dei traguardi più importanti della vita, nonché uno dei più complessi. Indago continuamente su me stessa, sulle peculiarità più celate della mia personalità, acquisendo ogni giorno maggior consapevolezza dell’essere umano Denise.

Credo che sia difficile scindere in due parti differenti la natura di artista da quella più intima e agire come se l’altra non esistesse.

L’attore, in quanto artista, è colui che ha una percezione della bellezza estesa e una sensibilità profonda: io mi riconosco tantissimo in queste peculiarità, che sono tratti distintivi della mia forza, ma allo stesso tempo rappresentano anche le mie debolezze. Forse è in questo che riconosco una delle mie certezze assolute: io percepisco la realtà intensamente.

Hai sempre sentito di essere un artista? La recitazione è stata sempre il tuo sogno recondito?

Credo che il mio estro artistico sia venuto fuori crescendo, ma che sia stato sempre insito in me. Ho iniziato come ballerina: ho studiato danza classica per 15 anni. Avevo una particolare propensione per le materie umanistiche e amavo disegnare. Era tutto molto naturale e innato: credo che quello fosse il mio modo di manifestare la mia creatività artistica, che al tempo non era ancora prettamente definita.

La recitazione nella mia vita invece è stata inaspettata. Ho sempre guardato milioni di film: da bambina, mia madre proponeva ogni giorno a me e a mia sorella un numero incommensurabile di pellicole dai contenuti interessanti e formativi, che mi hanno portato a sviluppare una vera e propria passione per il cinema.

La scelta di diventare un’attrice però è arrivata come il risultato di un processo esistenziale, alla fine del quale era chiaro che fosse la strada giusta da perseguire.

Non c’è quindi un aneddoto che ha sancito l’inizio di tutto?

No, non c’è un aneddoto che sancisce il suo ingresso nella mia vita, ma da ballerina ho avuto un infortunio al ginocchio, che ha messo fine al mio percorso con la danza. In quell’anno, ho riflettuto molto sui miei desideri più profondi ed è stato quasi naturale iscrivermi ad un corso di recitazione.

Sento di essermi scoperta da sola in qualche modo, trasformando un episodio di particolare negatività, soprattutto per una ragazza appena maggiorenne, in una scelta di cui andare orgogliosa. Ho ancora tanto da imparare, ma sono arrivata fin qui lavorando tantissimo su me stessa.

La Turchia è un Paese che ti ha offerto diverse possibilità professionali. Quanto hanno inciso sulla tua personalità ed emotività queste esperienze?

Tutto è iniziato quando sono stata scelta per una serie televisiva turca all’età di 20 anni, che è stata anche la mia primissima esperienza da protagonista. E’ stata dura, ma intensamente stupefacente. Mi sono ritrovata a recitare in un Paese con una cultura tanto affascinante quanto diversa dalla nostra, in una lingua molto complessa con ritmi di lavoro estenuanti. I Turchi sono abituati a girare ininterrottamente, superando spesso anche le 24h. 

E’ stata un’esperienza che porterò sempre nel cuore: mi ha insegnato ad aprirmi, in quanto essere umano, a tutto quello che è differente e nuovo; a mettermi instancabilmente alla prova; ad imparare dagli altri; a riconoscermi e ad accettarmi sempre.

Attualmente stai ancora lavorando con la Turchia?

Mi arrivano molte proposte di lavoro dalla Turchia, ma in questo momento sto lavorando parecchio in Italia e vorrei concentrarmi su quello che sto facendo qui. Conto di ritornare presto lì con un bel progetto, perché mi manca molto Istanbul, che è una città meravigliosa. Mi mancano i legami che avevo instaurato lì, le mie amicizie che non vedo l’ora di rivedere. La Turchia ha promosso l’inizio della mia carriera, che una volta ritornata in Italia ho dovuto ricostruire da capo. Ma l’Italia è casa mia.

Qual è il ruolo interpretato di cui sei più orgogliosa in assoluto?

Dal punto di vista artistico, il ruolo di cui sono più orgogliosa deve ancora arrivare. Ho amato follemente tutti i personaggi che ho interpretato, dai più piccoli ai più influenti, ma sono sicura ci sia tanto su cui lavorare ancora.

Un’esperienza di cui sono particolarmente fiera però è l’interpretazione eseguita per la prima serie tv turca a cui ho lavorato. Ne vado orgogliosa non tanto per il risultato artistico finale, perchè chiaramente ero all’inizio della mia carriera di attrice, con poca esperienza e con un bagaglio sulle spalle ancora da maturare, quanto per il traguardo raggiunto, che all’epoca mi sembrava impossibile da adempiere. Mi sono messa alla prova, ho lavorato duramente per un ruolo che richiedeva una determinazione costante, in una lingua che era stata a me sconosciuta fino a poco prima. Dovremmo sempre riconoscere gli sforzi che facciamo per migliorarci.

Hai un regista del cuore o un attore con il quale sogni di lavorare?

Il regista del cuore con il quale amerei lavorare è sicuramente Pedro Almodovar, che dà vita a dei personaggi femminili totalmente affascinanti. Il suo modo di raccontare l’universo femminile si spinge oltre le grossolane apparenze, varcando il confine tra il corpo e l’anima che lo abita, con una comicità drammatica, di cui solo lui è un esperto narratore. Ammiro il rispetto che adopera nella creazione delle sue donne, il cui aspetto fisico di solito esalta e mai danneggia le loro personalità.

Purtroppo però, Pedro è ossessionato da Penelope, quindi sarà un po’ difficile poter lavorare con lui, finché non rivolge il suo sguardo anche altrove (ride).

Cosa ti rende felice e cosa non tolleri?

Personalmente credo che la felicità sia un processo in divenire. Quello che mi ha reso felice oggi ad esempio, è stato poter condividere esperienze di vita, parlare di se stessi sinceramente e in maniera costruttiva con dei colleghi con cui ho appena concluso un’esperienza lavorativa. 

La possibilità di potersi confrontare con culture e opinioni diverse e l’opportunità di imparare qualcosa di nuovo dagli altri mi rendono grata verso la vita. Bisognerebbe porsi verso gli altri sempre con una certa sensibilità e umiltà, proprio per questo non tollero la maleducazione e l’arroganza, insieme ai pregiudizi che pullulano in questo mondo. 

Pensi di essere una ribelle, una donna che combatte per quello in cui crede?

Assolutamente si. Mi sento una ribelle che combatte quotidianamente. 

Vivo un conflitto innanzitutto con il mio dualismo interiore, un lato buono in contrasto con quello più oscuro, una sorta di yin e yang che lottano continuamente tra loro per avere la meglio sulla parte più forte. 

Credo di essere arrivata qui dove sono nella mia vita, perchè di fronte ai momenti negativi, ho sempre trovato la forza di combattere e di rialzarmi per andare avanti, senza mai perdermi. Non dovremmo mai dimenticare che ognuno di noi ha un proprio valore, che va difeso e rispettato. Tutto quello che ho è stato costruito da me stessa, senza che nessuno mi regalasse mai nulla. Ne vado molto fiera.