È possibile avere una casa ecosostenibile, sana, bella, intelligente e felice? Secondo Isabella Goldmann sì e nel suo primo libro destinato al grande pubblico “UN BIO ARCHITETTO PER AMICA. Rendi La Tua Casa Bella E Sana E Fanne Il Luogo Più Intelligente E Felice Per Te E La Tua Famiglia Con Il Metodo IGBI” (Bruno Editore) ci svela come fare per averla. Architetto, precorritrice delle tendenze più nuove nel campo dell’architettura eco- sostenibile, nonché managing partner di Goldmann & Partners srl SB, da anni certificata tra le migliori B Corp a livello mondiale, Isabella Goldmann guida il Centro di Ricerca Permanente sulla Sostenibilità Applicata con cui ha redatto, in collaborazione con i maggiori brand della moda italiana, il documento “Principi CNMI-Camera Nazionale della Moda Italiana per la Sostenibilità del Retail”.
Disponibile a partire dal 31 Maggio su Amazon, “UN BIOARCHITETTO PER AMICA” è il risultato di anni di approfondimenti sul ruolo benefico della progettazione bioclimatica degli ambienti domestici. Un contributo fondamentale in un momento di ritrovata attenzione ai temi dell’abitare, con i suoi risvolti in termini di salute, comfort, condivisione degli spazi e privacy, per fare della nostra casa una fonte di benessere.
Congratulazioni per la sua prima pubblicazione dedicata ai temi della bioarchitettura in ambito interior. Un libro-guida che parla di case ecosostenibili, sane, belle, intelligenti, dove poter essere felici. Da dove nasce l’esigenza di condividere i suoi insegnamenti con il grande pubblico?
Dall’età. Il bello di avere una certa età, e 30 anni di professione alle spalle, è che sei nella curva matura della tua storia. Ed è un momento fantastico, che auguro a tutti di raggiungere, in primis perché riesci a dire a chiunque tutto quello che pensi in libertà e poi è il momento in cui se hai qualcosa da regalare ti va di farlo. Devo dire che ho una realtà strana in azienda: da una parte un dipartimento completamente dedicato alle grandi corporate, alle multinazionali e ai grandi patrimoni immobiliari, e dall’altra parte un mini dipartimento in confronto all’altro che fa da sempre case. Sono quasi sempre case particolari, spesso di alto spending, ma ci sono anche case piccole; l’unico fattore comune è che sono case di persone un po’ illuminate, curiose, a volte precorritrici e che credono nel futuro di un mondo migliore. Io dico sempre che una casa non deve costare di più, semplicemente ha bisogno di un abitante intelligente, che ha voglia di mettersi in discussione, perché molto spesso la tua casa non è sostenibile perché tu non lo sei e perché non ti sei fatto determinate domande. Allora ho notato, nel corso di tutti i lavori fatti, dai più grandi ai più piccoli, che l’attenzione del cliente è la stessa, nonché la volontà di interrogarsi, di voler qualcosa di migliore. Molto spesso quindi questi due dipartimenti sono dei vasi comunicanti, sono attività che si alimentano tra di loro. Nel corso degli anni poi il centro studi interno si è rivelato necessario, perché molto spesso tutto quello che si fa lo si fa per la prima volta e bisogna trovare la migliore soluzione ad ogni nuova situazione. Il perché ho deciso adesso di scrivere questo libro è che sono arrivata ad un punto in cui mi sono resa conto che le famiglie che abitano nelle nostre case sono famiglie contente. È un mondo di gente tollerante e con un approccio all’esistenza più armonico e sereno. Sicuramente è questione di attitudine, ma anche di miglioramenti che noi abbiamo visto accadere; ci sono infatti alcuni aspetti delle case che se trascurati portano a situazioni di malessere e di tensione. Siamo una realtà che cerca di alleggerire il più possibile la situazione in cui vivi intervenendo sulla tua abitazione. Dunque mi sono detta che, prima di ritirarmi e mettermi a girare il mondo, volevo trasmettere alla generazione successiva queste conoscenze maturate in 30 anni di lavoro, studio ed esperienza.
Nel suo libro parla di un metodo specifico, il metodo IGBI (Isabella Goldmann Bio Interiors), maturato nel corso di trent’anni di studi sull’architettura bioclimatica. Ci può spiegare in cosa consiste?
Ho creato questo metodo IGBI suddiviso in tre passaggi molto semplici in realtà a cui però, almeno per i primi due, ho notato che quasi nessuno pensa mai. Perché è vero che è casa tua, ma tu chi sei? Cosa vuoi? Da dove vieni? È strano ma nessuno si fa mai la domanda “ma io chi sono?”, anche perché se si parla di casa mia o di quella del vicino, il risultato non può essere lo stesso. Cambiano le persone, le esigenze, i vissuti, le mentalità, le provenienze, gli archetipi culturali, cambia la vita che facciamo, i lavori, le cose che ci rilassano, le cose a cui diamo importanza… cambia davvero tutto. Per esempio, parlando di una banalità come il colore giusto per una casa, anche questo dipende da molte cose: dalla natura intima della persona, dalla sua provenienza, dal suo fototipo, dai viaggi che ha fatto e dagli oggetti che si è portato dietro, dipende da molte cose. Dopo questo primo passaggio del “chi è?”, c’è il secondo del “dov’è la casa?”. È al quinto piano? È esposta a est o a nord? È sul mare? È in mezzo alla campagna? Dobbiamo capire dove deve essere la casa, perché a seconda di questo, e soprattutto di come è orientata rispetto al sole, cambia ancora una volta tutto. Per esempio non ha senso avere la cucina a sud e tutto il resto della casa a nord e nel libro spiego il perché di ciò. Cambia la disposizione delle stanze, come sceglierne i colori, come illuminarle o che tessuti metterci. Infine, dopo che abbiamo capito come rispondere alle domande precedenti, arriva il “come” realizzare la casa. Solitamente faccio cherry picking delle questioni più importanti, dalle più facili, a costo zero e immediate da risolvere, a quelle più complicate che richiedono più tempo e studio. È un metodo che nasce da 30 anni di esperienza di case e cantieri.
Nel libro si parla di Bioarchitetto e di Bioarchitettura. In cosa questo approccio differisce dall’architettura e dall’interior design tradizionale?
In teoria la differenza non dovrebbe esserci, il problema serio è che purtroppo c’è. Nelle facoltà architettura di oggi, lo dico da storica dell’arte e dell’architettura, dovrebbero insegnare quelli che sono i fondamenti dell’architettura fatta a partire dai persiani, precursori della bioarchitettura, proseguendo con tutta l’architettura mediterranea prima dei romani, l’architettura romana, il Rinascimento e così via. La caratteristica è che da sempre i committenti, in primis la chiesa, erano attentissimi ai principi della bioarchitettura. L’intelligenza del concept di questi edifici stava nell’usare materiali locali e sfruttare a proprio vantaggio le condizioni climatiche del luogo per far sì che l’edificio ne faccia tesoro e sia in grado di auto-climatizzarsi. Quindi che sia in grado di raffrescarsi, cioè che non accumuli temperatura, in estate e di riscaldarsi, cioè che non perda temperatura, in inverno da solo. Tutto ciò veniva pensato molto attentamente nelle architetture millenarie e questa eredità si è persa pochissimo tempo fa, nel secolo scorso, e ancora di più poi nel dopoguerra quando si è dovuto costruire molto e molto velocemente. Tutta quell’intelligenza accumulata fino agli anni ’20 del Novecento, si è lentamente dimenticata. L’architetto è colui che dovrebbe studiare bioarchitettura, se volesse davvero diventare architetto, ma non lo fa. Tornando alla storia dell’arte, e facendo riferimento a Vitruvio, sono tre i pilastri dell’architettura: FIRMITAS, criterio per il quale l’edificio deve durare e perché duri deve essere costruito in maniera propria, UTILITAS, per il quale un edificio deve essere fatto in modo che sia in grado di assolvere alla sua funzione, e VENUSTAS, che è l’aspetto prettamente estetico. Durante il dopoguerra ci siamo concentrati prevalentemente sull’Utilitas, un tetto per tutti senza pensare troppo a come veniva fatto, poi, dopo l’emergenza dei primi anni, siamo partiti in quarta sulla Venustas, sacrificando purtroppo la Firmitas. Se l’architetto oggi è colui che si concentra più su uno di questi aspetti, spesso a discapito degli altri, il bioarchitetto invece lavora su tutti e tre i principi in maniera organica, evitando di dare priorità ad uno dei tre.
Da anni è alla guida del Centro di Ricerca Permanente sulla Sostenibilità. Quanto è importante l’approccio ecosostenibile all’architettura oggi?
Riprendendo il discorso di prima, mi meraviglio che non sia l’unico approccio possibile. Ogni volta che non è cosi si assiste ad occasioni perdute. Credo ci sia un terrore piuttosto consolidato che, per fare la famosa Firmitas, le cose costino di più. In realtà la questione è che o si gestiscono i budget in maniera sbagliata o si scelgono gli architetti in maniera sbagliata. Mi verrebbe da dire entrambe, ma soprattutto la seconda, perché in realtà un buon architetto, e quindi un buon bioarchitetto, deve saper stare dentro a qualsiasi budget e, a seconda delle risorse a disposizione, deve fare tutto quello che può. Invece ciò che accade e che, siccome solitamente i budget sono piuttosto ristretti, ci si butta in primis sulla Venustas, poi sull’Utilitas e si sacrifica la Firmitas.
Come è cambiato secondo Lei il rapporto con la casa, soprattutto dopo gli avvenimenti degli ultimi anni?
Siamo reduci da una pandemia che ci ha costretto a casa, la fortuna è che ci ha anche fatto riscoprire la casa. Questa situazione ha fatto innanzitutto maturare una certa scontentezza, che è un motore potentissimo per il cambiamento, però ha prodotto anche un po’ di ansia. Nella mia esperienza ho notato che non ho mai avuto clienti tanto nevrotici quanto ora. C’è una forte nevrosi per la casa, un’ossessione al far presto per averla subito. Nel libro spiego che chi vuole la casa nuova, o chi decide di cambiare qualcosa nella propria, si divide in due famiglie: coloro che fuggono da un dolore e coloro che corrono verso una gioia. A volte la casa è considerata, sbagliando, quasi come una panacea, come se cambiare le tende, o addirittura cambiare casa, risolvesse un problema che in realtà è interiore. La cosa molto importante è interrogarsi su chi sono e cosa voglio veramente dalla mia casa, insieme a mille altre domande che nel libro sono nel capitolo del “chi”, e darsi le opportune risposte prima di iniziare. Oltre al libro, dal 31 Maggio approda online anche il sito internet dove verranno offerti vari servizi tra cui la possibilità di avere conversazioni con me e il mio team per rispondere a queste domande. È molto importante che la gente scopra quanti interrogativi non si è mai posta su sé stessa e capisca cosi delle cose che non immaginava (come per esempio che non abbiamo bisogno di cambiare casa, ma solo di fare delle modifiche alla nostra per guardarla con altri occhi). Il mio libro è stato fatto in funzione del fatto che chi legge, prima di pensare di cambiare casa, guardi cosa può fare per quella che ha, il che potrebbe essere una buona palestra per quella che verrà dopo, e che impari a non delegare alla propria casa futura la soluzione di tutti i mali.
A suo parere, quali sono le cose che nel nostro piccolo possono essere un primo passo per cominciare a vivere in modo più sostenibile e felice?
La cosa principale è l’orientamento, cioè dare importanza al sole. Sapere da dove viene il sole è importantissimo, perché se sai come batte il sole su casa tua e impari come usarlo, o come difendertene, si è fatto già un buon 30% del lavoro. Sapere da dove viene il sole, quante ore al giorno batte e in quali stanze, che tipo di sole è (del mattino, del pomeriggio o della sera) è un primo passo, poi, seguendo il libro, saprai cosa fare per sfruttarlo, o compensarlo, e creare armonia all’interno della casa in termini di colori, materiali, illuminazione, etc. È un punto di partenza imprescindibile, non si può fare il resto se non si è fatto prima questo.
Questo libro è proprio pensato per la generazione dei miei figli, per i nuovi trentenni, perché comincino a vivere nella maniera corretta l’idea e il rapporto con le loro future case.