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Oggi, 8 marzo, nella giornata della Festa della Donna, o meglio, la Giornata Internazionale dei diritti delle donne, intervistiamo Elisa Amoruso: donna, mamma, regista e sceneggiatrice di successo. Ci parla di lei, del suo essere donna, dei suoi sogni e delle sue idee. Parliamo di conquiste, di speranze e di ideali personali, di cosa vuol dire essere donna nella collettività. Credere nei propri diritti e portare avanti le proprie idee è forse tutto ciò che conta. Elisa è una donna indipendente e realizzata ma ha una figlia femmina e spera in un futuro diverso, dove non bisogna piegarsi, implorare, sottomettersi per essere donne, mamme e figlie felici. Felici, per noi stesse e non per gli altri. È difficile? Si. Ma non si smette mai di lottare.

Una carriera da sceneggiatrice, registra e scrittrice, fatta di numerosi successi e traguardi come ad esempio aver vinto al Festival internazionale del film di Roma 2013 la menzione speciale nella sezione “Prospettive” per il film documentario Fuoristrada. Come vive il suo lavoro, da mamma e soprattutto donna indipendente e lavoratrice?Sicuramente non è semplice conciliare lavoro e vita privata quando si ha una carriera molto impegnativa. Nel mio caso, il lavoro di registra e sceneggiatrice mi assorbe sempre di più. È come se, da quando è nata mia figlia, il lavoro si sia in qualche modo raddoppiato. Mi sono ritrovata a dover gestire la mia presenza sul set così come la mia presenza a casa. La mia fortuna è stata quella di incontrare un uomo, che fa il giornalista, la cui concezione della famiglia è esattamente uguale alla mia. Siamo entrambi due genitori che cercano di dare il massimo e che si sostituiscono a vicenda ogni qualvolta uno dei due non può essere presente. Naturalmente sono importanti anche gli aiuti, per chi ha la fortuna di averli, come quelli dei nonni o di una babysitter, che sono per mia figlia i punti di riferimento quando noi non ci siamo. Le donne che vivono una carriera impegnativa, oltre al ruolo e lavoro di madre, si trovano spesso assalite da sensi di colpa o da mancanze. Ciò che io mi ripeto sempre è che le nostre figlie avranno il nostro esempio, è quindi importante essere un modello per loro. Tanto quanto un padre, anche una madre si può assentare per motivi di lavoro. Una donna che non si realizza forse non riuscirà ad essere neppure una buona madre perché non sentirà mai di essere una donna felice.

Attraverso Chiara Ferragni Unposted, da lei scritto e diretto, viene fuori l’immagine e la storia della vita di una donna, Chiara Ferragni, influencer dal successo mondale ed emerge l’essere donna in tutto e per tutto: la parte più vera, più autentica e anche fragile che fa parte di ognuna di noi. Cosa le ha lasciato questa esperienza lavorativa, umanamente parlando e cosa l’ha colpita maggiormente? Il lavoro con Chiara è stato un lavoro molto stimolante dal punto di vista personale, della mia crescita come essere umano, come donna e anche come regista. Chiara è un’imprenditrice che si è affermata autonomamente, credendo fortemente in quello che faceva. Ha creduto in una professione che al tempo non esisteva neppure, nel momento stesso in cui lei stessa l’ha inventata e ne è diventata protagonista, e tutt’ora lo è. Non solo nel mondo della moda, si rivela sempre di più una persona in grado di influenzare i gusti o le opinioni altrui. Basti pensare alle campagne umanitarie che ha sostenuto. È una vera e propria “role model”, come dicono gli inglesi. Un modello di riferimento a cui tantissime donne possono guardare per non avere paura di portare avanti le proprie idee. Ad oggi il legame con Chiara è sempre presente, nonostante questi anni difficili appena trascorsi. Recentemente, siamo anche riuscite ad incontrarci a Milano. Chiara possiede la capacità di riuscire a trasformare la fonte della paura in qualcosa da affrontare immediatamente e da prendere come una sfida per migliorarsi. Oltre al fatto di portare avanti le proprie idee, nonostante possano essere impopolari o non condivise. Sono questi gli insegnamenti che mi porto dietro da questa esperienza con lei e penso che porsi degli obiettivi sempre più grandi, esattamente come fa lei, possa essere il modo giusto per essere una persona completamente realizzata. Se, in fondo, lo scopo di questa nostra vita è essere forse anche un po’ felici.

Marzo è il mese dedicato alle donne. L’8 del mese si celebra la Giornata internazionale della donna, che in un certo senso serve a celebrare la bellezza che caratterizza la diversità di tutte le donne. Ovvero l’accettarsi così come siamo. Quale crede che sia la più grande sfida dell’essere donna oggi? Vista la grande quantità di cambiamenti che le donne sono costrette ad affrontare, la più grande sfida è quella di accettarsi così come si è, sia fisicamente che spiritualmente. I modelli che ci vengono proposti dalla moda o dalla televisione stessa sono canoni irraggiungibili di perfezione. Desidererei che le donne imparassero ad accettarsi anche se hanno le rughe, perché l’età esiste e non per questo i segni del tempo vanno cancellati, anzi accettati e interpretati come segno di saggezza acquisita. Mi piacerebbe che fosse dato più valore alle donne a livello di intelligenza, di rispetto per loro idee, per i loro ruoli ed anche e soprattutto per i loro tempi. Una donna che lavora ha il diritto di poter essere madre senza dover avere paura. In alcuni paesi come la Svezia o la Danimarca, ad esempio, le persone possono smettere di lavorare prima del tempo per potersi dedicare ai propri figli, cosa che nel nostro paese non viene neppure considerata. Il ruolo della donna sta cambiando all’interno della società e nella famiglia e gli organi politici di dovere dovrebbero tenerne conto. Basti pensare che ci sono voluti due anni di pandemia per ottenere un bonus babysitter, diritto che dovrebbe essere concesso ad ogni mamma che partorisce, soprattutto nei primi mesi di vita del bambino, ovvero i più difficili.

Qual è secondo lei lo stereotipo più pericoloso in riferimento a noi donne? Lo stereotipo più pericoloso è per me quello dell’apparenza fisica che domina e popola i vari social network. Non si riesce a scardinare del tutto questo principio per cui una donna prima di tutto debba essere bella, piacevole ed attraente e poi, in secondo luogo, interessante e colta. Vorrei che a mia figlia passasse il messaggio opposto: prima di tutto dobbiamo essere intelligenti e preparate e poi possiamo anche dimostrare o accettare la nostra bellezza per quella che è. Siamo invasi da un canone estetico che sembra debba essere lo stesso per tutti ma non è così. É diverso e soggettivo per ognuno di noi, ciò che è bello per me magari può non esserlo per qualcun altro. Dobbiamo imparare ad accettarci così come siamo e non importa se si hanno macchie sul viso o qualche chilo in più. Mi preoccupa molto il fatto che lo stereotipo della donna che lavora non sia sostenuto da degli ammortizzatori sociali. É necessario, a mio parere, che la società si muova intorno alla donna stessa che si muove. Mi piacerebbe inoltre che ci fossero più figure femminili anche in ambiti ancora troppo maschili, a partire dalla politica fino ad arrivare al mio stesso ambiente, il cinema. Credo che il mondo del lavoro dovrebbe allargarsi maggiormente, ma lo stato dovrebbe rendersi in grado di far fronte alle necessità di una donna emancipata che ha una famiglia.

Se dovesse mettersi per un attimo ad osservare sè stessa e non più gli altri, capovolgendo il suo stesso ruolo, che consiglio sentirebbe di darsi? Di essere più sicura e di avere meno paura. Di essere meno schiava del giudizio degli altri. Personalmente lavoro con molti uomini, ai quali devo spiegare le mie idee e devo tramettere il mio entusiasmo, per fare in modo che condividano la mia visione. Il mio è un lavoro “collettivo”, un po’ come quello di un direttore di orchestra: devi cercare di fare in modo che tutti gli strumenti suonino insieme e siano sincronizzati. Sicuramente, liberarmi di molte insicurezze potrebbe farmi bene. Bisogna provare a liberarsi della paura di un fare un passo avanti o di portare avanti un’idea azzardata, che magari non è in linea con il pensiero altrui.

Al giorno d’oggi assistiamo al successo di tantissime donne in ogni campo, a testimonianza di come le donne possano portare quel valore aggiunto che per troppo tempo è stato misconosciuto. Crede che in futuro la fatica di arrivare a ricoprire ruoli al pari degli uomini svanirà? Purtroppo, io credo che la strada sia ancora molto lunga dal punto di vista di una vera e propria mutazione sociale. Sogno di ritrovarmi nella normalità ad avere dei capi di governo che sono delle donne, e che non siano solo poche eccezioni. Vorrei più donne che guidano i paesi o che ricoprono ruoli di potere, che possano esercitare il loro pensiero in maniera diversa, influenzando il pensiero delle nuove generazioni, costruendo modelli di società che possano essere più a misura per ogni essere umano, in cui gli uomini non siano soltanto schiavi del loro lavoro ma che possano esistere anche gli spazi di realizzazione per la singola persona. Un modello di universo equilibrato e di società organica che non riscontro ad oggi nel nostro paese, ma non solo. Credo che vi sia bisogno che la sensibilità femminile arrivi sempre di più nei luoghi di potere. Tuttavia, ho la sensazione che le donne debbano ancora faticosamente lottare per conquistare degli spazi, che forse se non ci fossero state le lotte degli anni ’70 probabilmente non avremmo nemmeno. Qualunque donna lavori in un ambiente prevalentemente maschile sa di cosa sto parlando, perciò penso di potermi rivolgere a molte donne in questo momento. La cosa importante è andare avanti ed essere convinte delle proprie idee, essere più solidali tra di noi, non essere in competizione l’une con le altre. Sono convinta che tutto ciò sia d’aiuto per avere più voce in capitolo in un mondo che, a mio avviso, è ancora troppo maschile e troppo poco generoso.

Chi è la donna che l’ha ispirata o la ispira di più? Avendo sempre avuto la passione per la scrittura e poi in seguito per la regia, le donne che mi hanno ispirato di più sono quelle che sono riuscite laddove il talento le ha portate a raggiungere delle vette incredibili a livello di profondità. Virginia Woolf ad esempio, oppure Elsa Morante o ancora Jane Campion, che rappresenta un mio idolo da sempre. Una donna, una coreografa che all’età di quarant’anni ha deciso di fare la regista, Andrea Arnold, è un’altra donna alla quale guardo con molta ammirazione. Inoltre, tutte le donne che ho raccontato attraverso i miei documentari sono riuscite ad ispirarmi ed essere per me un esempio. Non ero solo io che raccontavo loro ma erano anche loro che, raccontandosi a me, mi lasciavano un qualcosa di importante e significativo. Ad esempio, una figura che ho raccontato è Palma Bucarelli, che è stata la direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Una donna anticonformista, che ha sempre rifiutato una famiglia e ha deciso di dedicarsi interamente al lavoro, cosa che negli anni ’50 faceva alquanto scalpore. E poi Oriana Fallaci, donna e giornalista che non ha avuto paura di nulla. C’è poi una fotografa e reporter di guerra di cui ho sempre ammirato moltissimo il lavoro che è Gerda Taro, la moglie di Robert Capa, colei che si è inventata il nome del marito che poi gli ha dato fortuna. Le donne, a mio avviso, sono fatte per avere coraggio e per lanciarsi liberamente in imprese titaniche che possono essere paragonabili proprio ad una delle imprese più difficili sulla terra: quella di diventare madre. E quando una donna unisce entrambe le cose, credo che il mondo la dovrebbe portare sul palmo della mano. Per questo, per me, le donne che ci sono riuscite sono dei grandi, grandissimi esempi.