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Il viaggio come metafora della vita fatta di piccole-grandi tappe per arrivare alla meta. Il mestiere dell’attore, un iceberg di cui spesso si vede solo la punta soleggiata ma che, in realtà, nasconde una parte invisibile agli occhi in un mare immenso: «ci sono isole meravigliose, altre volte si sbatte contro scogli inaspettati, altre ancora non si naviga». Ma, grazie al suo talento, Leonardo Pazzagli sa affrontare le sfide, mettersi in gioco e tradurre l’attualità nei personaggi che interpreta sullo schermo, raccontandosi con una sincerità disarmante che diventa la sua forza nel vestire ruoli differenti davanti alla cinepresa e in televisione.

Da Lecco, tua città natale, alla Toscana, dove sei cresciuto. Poi, il Brasile e il Canada: la vita è proprio un viaggio. L’esperienza che ti ha segnato di più?

«L’esperienza in assoluto più bella, avendo vissuto ovunque con la mia famiglia, è stata quando insieme ai miei genitori sono partito per un on the road, durato alcuni mesi, dal Brasile alla Terra del Fuoco. Abbiamo visitato paesaggi diversi: dalle Ande alle coste del Cile fino ai ghiacciai dell’Argentina. Avevo 8 anni, lo ricordo molto bene anche perché, a causa del mio mal d’auto, soffrivo i passaggi in montagna. Ma ne è valsa la pena».

Hai frequentato il Centro sperimentale di cinematografia e, addirittura, hai una doppia laurea in Lettere moderne e Storia. La fame di sapere aiuta nel mestiere dell’attore?

«Il sapere ha tante sfaccettature. In realtà, all’inizio no, perché recitare è un’azione pratica, ben diversa dalla teoria di studiare per un esame universitario. Dapprima era quasi come se mi ostacolasse. Due binari paralleli. Poi, pian piano, le cose si sono unite».

Il tuo primo ruolo da protagonista nel film “Un bacio” di Ivan Cotroneo, grazie al quale ti sei aggiudicato il prestigioso Premio Biraghi ai Nastri d’Argento nel 2016. L’opera filmica è quasi un manifesto sulla libertà sessuale e i diritti. Secondo te, perché in Italia l’omosessualità, nonostante le molte battaglie, è ancora un tabù?

«Rispondo in base alla mia esperienza. Due settimane prima che uscisse il film, ho avuto modo di incontrare i ragazzi e le reazioni a questo bacio omosessuale erano abbastanza forti, aggressive, con giovani che si smarcavano violentemente dalla tematica. Allora ce n’era bisogno. Oggi, invece, è proprio come se già nei giovanissimi, forse anche grazie ai modelli proposti dalla musica, si assistesse finalmente ad una certa apertura e tranquillità sul tema. Il Paese reale, in merito all’aspetto giuridico e ai diritti civili, probabilmente è più avanti di chi fa le leggi».

Lo è, ancora di più, fuori dal patinato mondo dello spettacolo?

«Forse sì, non mi sembra che nello showbiz sia ancora un tabù. Studiando recitazione, conosci te stesso, ti apri ad una sensibilità maggiore verso gli altri e ci sono una chiusura e una paura minori che non ti portano a temere il giudizio di chi ti circonda. In tanti aspetti, fra i miei colleghi, c’è una visione diversa, che magari incuriosisce. Però, trovo difficile avere un’opinione assoluta e onnicomprensiva poiché la realtà è complessa, non si può sempre avere un parere netto e chiaro».

Su Netflix hai recitato in “Fedeltà” (Devotion) per la regia di Andrea Molaioli e Stefano Cipani. Pensi che le piattaforme online, dopo l’emergenza Covid, abbiano ormai sostituito la modalità di fruizione e il rito della sala?

«In parte ce lo dicono i dati. Sembra che, attualmente, seppur non totalmente, sia così. Bisogna vedere cosa accadrà, se il Covid resterà un ricordo nella percezione delle persone e se saranno disposte a guardare un film con la mascherina in un luogo chiuso».

Gli esercenti lamentano un calo negli incassi al botteghino. La gente, quindi, ha ancora paura di uscire e sedersi in poltrona?

«Spero che non sia cambiata l’abitudine, godersi una pellicola al cinema non è paragonabile, per via dell’esperienza immersiva, alla modalità di vederla sul divano. Mi auguro che, da spettatore e non da attore, rimanga la possibilità di andare in sala perché reputo che sia impagabile. Ho letto un articolo qualche giorno fa, c’è sicuramente un grande crollo e spero che si tratti solo di strascichi lasciati dal virus: sarebbe bello rivedere il pubblico frequentare le sale, anche se non è che prima fossero del tutto piene. Mentre, adesso, sono davvero in crisi».

Due anni di pandemia, ora la guerra in Ucraina. Come hai vissuto i vari lockdown e, oggi, come vivi il conflitto che rischia di sconvolgere gli equilibri geopolitici internazionali?

«Sono due cose per me molto diverse: la pandemia è arrivata indipendentemente dalla volontà dell’uomo e da noi. I due anni di emergenza sanitaria sono stati una grande altalena: ho vissuto fasi in cui tutto era un abbastanza nuovo e mi incuriosiva, altre in cui avrei voluto fare le 6 del mattino pure se alle 10 di sera scattava il coprifuoco e mi sentivo ingabbiato. Momenti di tristezza e disillusione che, come in tutti, rimarranno indelebile dentro di me. Devo ancora capire se passerà e quando. Rispetto a quello che sta accadendo ai confini dell’Europa, non credo assolutamente che sia qualcosa di lontano da noi. La prima reazione che ho avuto è stata di sconcerto, non pensavo che fosse possibile nel XXI secolo: un’invasione armata di un Paese sovrano da parte di un altro mi ha ricordato il gioco del Risiko. La differenza rispetto al Covid è che la guerra si è verificata a causa del volere di qualcuno, a livello di origine e di impatto emotivo, ma la gravità dei fatti è la stessa».

Da metà marzo sei nel cast della serie di Canale 5 “Più forti del destino”,  diretta da Alex Sweet. Quando hai pensato di essere più coraggioso e determinato rispetto a ciò che il futuro aveva in serbo per te?

«Con il nostro lavoro le sfide interne ed esterne sono parecchie, non so delineare un episodio preciso. La carriera di un attore non è un mare calmo e tranquillo, ci sono tanti scogli: a volte sbatti, altre leviti, spesso ci sono isole meravigliose, talvolta non si naviga. Non c’è un avvenimento singolo. Il nostro mestiere è un iceberg, c’è la parte visibile e soleggiata, poi quella sommersa: tanta fatica, tanto sudore, tanti no. Vorrebbero farlo in molti, ma è necessario essere consapevoli che ciò che non si vede non è scintillante come quello che, invece, si osserva da fuori».

 

Credits:

Photographer: Maria La Torre

Fashion Director: Vanessa Bozzacchi

Stylist: Sara Castelli Gattinara

Hair and Make-up: Marta Ricci

Location: DOM Hotel Roma

Gustavo Marco Cipolla

Gustavo Marco Cipolla

Storyteller, appassionato di tutto ciò che è indie, travelholic. Mi piace raccontare le immagini attraverso le parole e impazzisco per l’alternative rock. Collaboro con diverse testate nazionali, mi occupo di moda, arte, cinema, musica e LifeStyle. Svolgo, inoltre, l'attività di addetto stampa, content writer e communication consultant in ambito culturale e per alcuni brand. Penso dunque scrivo.