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Monica Nappo, classe ’71, è un’attrice, regista teatrale e comica italiana che si trova ora al 79° Festival del Cinema di Venezia per la presentazione di Amanda, di Carolina Cavalli. Monica comincia fin da giovane a lavorare in teatro, si forma a Napoli, dove a soli diciotto anni apre un teatro con dei giovani colleghi, e lavora prima con Mario Martone, poi con Cesare Lievi e poi per più di 10 anni nella compagnia di Toni Servillo. È stata la prima attrice in Italia ad interpretare 4:48 Psychosis di Sarah Kane. Alla sua attività di attrice, Monica ha affiancato quella di regista teatrale; è stata la prima in Italia a mettere in scena testi di Tony Kushner e dell’ex marito, Dennis Kelly. Nel cinema ha lavorato con registi quali Silvio Soldini, Antonio Capuano, Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Woody Allen e Ridley Scott. È stata coprotagonista del terzo film di Matteo Garrone e ha ricoperto il ruolo di Sofia Pisanello, moglie del personaggio interpretato da Roberto Benigni, nel film di Woody Allen To Rome with Love.
Ci parli del suo personaggio, Sofia, in Amanda, che è stato presentato al Festival. Cosa l’ha colpita di più di lei?
Quando Carolina mi ha mandato la sceneggiatura proponendomi il ruolo di Sofia, mi ha colpito molto il suo modo di descrivere allo stesso tempo con sincerità e surrealismo una famiglia disfunzionale. Mi sono rivista molto in alcuni sentimenti che trasmette il film.E credo che ci si possa identificare con Amanda a prescindere da una differenza di età. Il fatto poi che fosse una giovane donna già così cristallina in questa visione mi ha stimolato ancora di più. Sofia è una donna anaffettiva perché cerca di essere perfetta e non sa come chiedere aiuto. Questo, e il suo status sociale, sono gabbie dorate da cui le è difficile uscire. Mi piacciono molto i personaggi in trappola.
Nell’’ultimo periodo il cinema italiano e le platee sono entrate in crisi con gli spettatori. Di chi o cosa è secondo lei la responsabilità da attribuire al cambiamento?
Credo i motivi siano tanti, non uno. Molte persone adesso vedono film e serie tv addirittura dal cellulare, o in piccoli tablets, e sembrano godersi lo stesso la storia. Forse perché ormai siamo invasi dalle serie e quasi dipendenti dal loro consumo direi. Ormai guardiamo compulsivamente film e serie tv e andare al cinema è un altra cosa, decisamente.Diventa un atto di impegno maggiore. Altro motivo è che credo si voglia andare al cinema per vivere un’ esperienza emotiva profonda, data dalla storia e dall’interpretazione. Il cinema italiano era in crisi già da prima, ed uno dei motivi credo sia anche per una rete di sale che non sostiene la varietà di lavori creati e di un sistema di produzione che è ingabbiato sempre negli stessi nomi o tipologie di storie.
Un grande regista un giorno disse: “il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio”, Federico Fellini. Qual è la sua personale visione ed interpretazione del cinema?
Come è vera questa frase di Fellini! Credo che il cinema sia catturare un sentimento. Penso che il cinema possa sicuramente essere questo, se si è parte di una storia dove c’è molta verità e visionarieta’. Queste le trovo due parole non in antitesi, anzi. Ma molte volte la verità ci fa molto più paura della fantascienza. E invece se penso al cinema( ma non solo al cinema) che mi colpisce di più è quello che mi offre questo. Spero sempre di avere queste due esperienze, sia da attrice che da spettatrice.
Alla sua carriera di attrice cinematografica si affianca da sempre quella di attrice, e poi anche regista, teatrale. Quale e cosa preferisce di questi due media?
L’importante è essere sinceri nel raccontare la storia, dal proprio punto di vista. Certo il teatro dá un livello adrenalinico pazzesco e lo richiede ogni sera essere senza rete e senza editing. Quello avviene parzialmente prima, nelle prove. Il palco è live, sempre e qualunque cosa accada. Nel cinema invece i terremoti sono altri, nell’ alzare un sopracciglio casomai. Allora spero nella o nel regista che mi dia questo, raggiungendolo insieme possibilmente anche coi colleghi. Da regista chiedo lo stesso. Adoro lavorare con gli attori, amo chi è al servizio della storia da dire usando la propria vulnerabilità e non il proprio ego. Cerco questa come condotta di lavoro sia come attrice che come regista.
Come attrice, ma anche e soprattutto come regista, quanto è ancora difficile l’affermazione femminile nell’ambito dello spettacolo?
Vengo da una generazione fortunata per certi versi, sfortunata per altre. Come tutte le generazioni del resto. Nella mia c’erano poche registe donne e l’idea di attrici era ( ma in parte lo è ancora) che si debba essere bellone sennò fai teatro. Adesso per fortuna ci sono più registe ma temo che la disparità di paghe e presenze sia ancora presente. Quello che mi dispiace è vedere come molte donne abbiano ancora paura di osare e fare, come se aspettassero ancora il permesso da qualcuno. È un illusione che fa male non solo a loro ma anche alla società. Abbiamo bisogno di voci quanto più diverse tra loro per raccontare la realtà e l’ ideale sarebbe dare spazio alla diversità quanto più possibile. Non è facile certo, ma è bellissimo provarci. Almeno, io mi diverto così.
Riguardo al futuro: quali saranno i prossimi cambiamenti e nuovi progetti?
I prossimi cambiamenti non lo so, per fortuna non li posso prevedere. I miei prossimi lavori sono la tournée con il monologo che ho scritto durante il lockdown. Si chiama “L’Esperimento” ed è un testo tragicomico in cui recito anche. A dicembre invece inizierò la regia di un testo in teatro di Caryl Churchill , si chiama Top Girls, ci sono 9 donne in scena. Non vedo l’ora. Parla di come gestire ambizione e famiglia se sei donna. A prescindere che si sia femministe o meno. È impegnativo comunque.