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Tutto ha inizio con l’omicidio di Mahsa Amini, una donna di 22 anni morta in seguito all’arresto da parte della polizia religiosa. Il 14 settembre Jina Masha Amini, originaria di Saqqez era in visita dai parenti a Teheran. In Iran vige la legge islamica che obbliga le donne a indossare l’hijab e a controllare l’applicazione di questa legge è la cosiddetta “polizia morale”. Mahsa Amini è stata arrestata. Perchè? perché non indossava correttamente l’hijab. Dopo diverse ore la giovane è deceduta in ospedale. Nonostante ciò, la versione ufficiale divulgata della polizia e dall’ospedale è quella di «decesso per attacco di cuore». Sul corpo di Masha Amini, dichiarato sano da parte dei familiari, sono stati evidenziati, al contrario, segni di tortura e di violenza. É il 19 settembre, giorno nel quale viene proclamato lo sciopero generale in numerose città, che viene pubblicata la tac fatta a Masha Amini all’arrivo in ospedale. Ecco l’evidenza di un’emorragia cerebrale e di una frattura profonda al lato destro del cranio. É questa è la goccia che, inesorabilmente, fa traboccare il vaso. Le donne iraniane si riversano nelle strade, bruciano l’hijab e si tagliano i capelli in segno di protesta, dando vita così ad una delle mobilitazioni più forti e d’impatto mai viste in Iran. Come raccontato dall’attivista e giornalista Masih Alineja, per la prima volta le donne non sono sole bensì sono accompagnate dagli uomini. E combattono insieme per i loro diritti. Il giorno dopo la morte di Amini, il Movimento delle donne del Kurdistan ha pubblicato una dichiarazione contro le politiche femminicide del regime iraniano, che recita “L’unico modo per fermare il sistematico massacro delle donne è quello di sviluppare la loro capacità di auto-difesa. […] le pratiche brutali di regimi di destra e misogini, costringono le donne all’obbedienza, in ogni sfera della vita. Vogliono che vi sia obbedienza per il maschio dominante, il sistema maschile stesso. Le basi economiche, politiche, ideologiche, sociali e culturali per questo progetto sono già state gettate”.

Ecco dunque che le proteste di questi giorni diventano la messa in pratica di tutti quei movimenti di liberazione delle donne ed in generale del femminismo islamico che si oppone alle forme più costrittive dell’islamismo. Ma c’è qualcosa che colpisce particolarmente osservando le fotografie e i video delle donne iraniane che si tagliano i capelli. Non è solo un gesto di protesta ma un gesto di profondo dolore. Sembrano voler dire “piuttosto che nascondere il mio essere donna, io lo uccido”. Un gesto di indignazione abissale. E allora viene da chiedersi: come mai, noi occidentali, così bravi ad indignarci, a protestare, non facciamo lo stesso e non diamo, finalmente, il giusto valore al tollerabile e all’intollerabile assoluto? Come mai, quello che ci tocca da vicino, ha un valore mentre ciò che appare distante da noi, non ci fa così sdegnare? Non sono forse essere umani come noi, non sono forse donne come ognuna di noi lo è? Assistiamo alla negazione del diritto di libertà e nonostante tutto rimaniamo fermi, inermi, di fronte a tutto ciò. Empatia significa capacità di mettersi nei panni degli altri, di comprendere, di ascoltare e di percepire le emozioni altrui. Ecco, l’empatia è che ciò che dovremmo avere tutti e che diventerebbe un motus per la speranza di un futuro degno. Ed è così che torna alla mente una donna, una giornalista impavida, una scrittrice e una combattente, Oriana Fallaci. Ed in particolare, una sua precisa intervista, all’ayatollah Khomeini: “Perché le costringe a nascondersi sotto un indumento così scomodo e assurdo, sotto un lenzuolo con cui non si può muoversi, neanche soffiarsi il naso? Ho saputo che anche per fare il bagno quelle poverette devono portare il chador. Ma come si fa a nuotare con il chador?”. Alla domanda, l’immediata risposta, accompagnata da una sonora risata ‘Tutto questo non la riguarda. I nostri costumi non riguardano voi occidentali. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene’.” La Fallaci si alzò, si tolse quello “stupido cencio da medioevo”, e così facendo segnò e fece, lei stessa, la storia. Un evento carico significato, di rabbia e di senso di giustizia che non può, per favore, rimanere vano.