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Le fotografie, un diario di vita

Jamel Shabazz è un artista afroamericano proveniente da Brooklyn che già all’età di quindici anni si è dedicato in tutto e per tutto alla fotografia, la sua più grande passione. Nel 1980 ha intrapreso un progetto di documentazione dei vari aspetti riguardanti la vita di New York: dalla cultura giovanile alle svariate condizioni sociali esistenti. Le sue fotografie si ambientano, molto spesso, per strada.

Lei è considerato “l’occhio delle strade di NYC”. Quale è il segreto per diventare un buon fotografo street style? E quali dettagli catturano maggiormente la sua attenzione?

Effettivamente non esiste un segreto. Occorre essere appassionati per quello che si fa, osservare ciò che ci circonda e avere sempre con sé la macchina fotografica. I dettagli che mi catturano sono donati dal momento.

Le sue immagini sono sorprendentemente ricche di colori e intrinseche di energia, tuttavia celano qualcosa di più nascosto e profondo. É così?

Osservazione corretta, nelle mie fotografie c’è qualcosa che va oltre al semplice sguardo. Ogni scatto ha una sua storia e dopo lo sviluppo della pellicola si riguardano le immagini per comprendere qualcosa in più sul soggetto descritto. E soprattutto dopo la condivisione sui social attraverso commenti e like si scoprono curiosità di quel momento mai analizzate prima. Sono passati più di trent’anni da quando ho documentato alcune delle mie foto più importanti e sono così stupito da tutti i retroscena che assimilo oggi.

“Dobbiamo imparare a vivere come fratelli o periremo insieme come stolti”: frase celebre di Martin Luther King. Quanto è importante, a suo avviso, preservare l’importanza della propria cultura, tutelare le minoranze etniche e volgere a una sempre maggiore inclusione?

È estremamente importante. Come persona che ha assistito all’impatto di guerre, commercio di droga, incarcerazione di massa, discriminazioni e covid19 subiti dalla mia comunità; mi sento di dover preservare quanta più storia e cultura possibile incoraggiando i giovani a fare lo stesso. Le minoranze etniche tendono ad essere sempre quelle che soffrono di più e immaginare un’inclusione totale nel mondo reale la vedo come utopia perché la disparità ci sarà sempre. Tuttavia, la nostra comunità artistica si mobilita per unire le persone e creare omogeneità culturale nel rispetto di chiunque.

Cosa si cela dietro una sua foto? Si possono catturare valori quali onestà, fiducia, virtù in un’immagine?

Il mio approccio nella fotografia ha come obiettivo di svelare la verità di ognuno. E questo lo si riesce a fare spiegando le proprie intenzioni e guadagnandosi la fiducia altrui. Solo così posso catturare valori come onestà, fiducia e virtù.

Come definirebbe il suo personale linguaggio fotografico?

Il mio linguaggio fotografico non è limitato ad un gruppo ristretto ma è globale. Questo mi permette di entrare in sintonia con più individui di differenti culture e approcci diversi alla vita. La fotografia è familiarità e un diario di vita.

Progetti futuri?

Per il 2023 ho un calendario ricco di impegni fortunatamente. A NYC, grazie al Fashion Istitute of Technology, sono stato invitato ad esporre i miei lavori per il cinquantesimo anniversario della nascita del hip pop in una mostra chiamata “Fresh Fly and Fabulous: 50 years of Hip Hop Style.” In seguito ci sarà un’altra esibizione rinominata “Hip Hop 50: Conscious. Unconscious.” al Fotografiska Museum che documenta sempre la fotografia della musica hip hop insieme ad altri artisti illustri. Uscirà anche il mio nuovo libro “Jamel Shabazz: Photo Albums” disponibile da gennaio e con una esposizione dedicata a Gordon Parks Foundation – Pleasantville a maggio.