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Oggi, è la giornata mondiale dell’autismo. Le statistiche ci dicono che i casi e le diagnosi certe sono decuplicate negli ultimi 40 anni. Quando Vanessa Bozzacchi ha ricevuto la diagnosi di suo figlio Leone, all’epoca bimbo di soli diciotto mesi, é stato come un pugno allo stomaco. O forse di più. “Ti capisco” oppure “ti sono vicino” si sentono dire spesso le famiglie. Ma smettiamola di far finta di comprendere se poi non aiutiamo, non agiamo in prima persona per fare qualcosa di concreto, a sostegno di famiglie, di bambini, che vivono la realtà di Leone. Proprio per questi motivi, nasce Fondazione Mente: con l’intento e l’obiettivo di aiutare bambini e ragazzi con problemi di neuro sviluppo al fine di migliorare la loro vita e dare supporto e sostegno alle loro famiglie. Il tutto, attraverso l’insegnamento, i valori dell’educazione, l’amore, il supporto e, ovviamente, la terapia – cucita sul bambino – le attività ludiche organizzate per loro. Per dare loro più abilità e, di conseguenza, un domani, maggiore autonomia. La sensibilizzazione è un valore fondamentale, oggi. E così anche la comunicazione, per tutti coloro che vivono situazioni uguali o simili a quella di Leone. Niente è impossibile, partiamo però dall’aiuto, dall’impegno, e dalla forza di volontà. Per questo motivo, testimone di tutto questo, oggi, è una mamma. Vanessa Bozzacchi. Per parlarci dell’autismo, di Leone. Della sua storia. E insegnarci a non avere paura mai.

Sono passati 10 anni da quel fatidico giorno. Raccontaci come si é arrivati alla diagnosi di tuo figlio, Leone.

É prendendo consapevolezza del fatto che qualcosa non va come dovrebbe, che si arriva pian piano alla diagnosi. Lo spirito di osservazione – e di accettazione – è fondamentale. Spesso, si ha paura di guardare in faccia la realtà. Nel mio caso posso dire di essere stata particolarmente fortunata. Ricordo che in occasione di un weekend, alcune mie care amiche, mi fecero notare alcuni aspetti di mio figlio, alcuni suoi comportamenti ai quali io, fino a quel momento, non avevo dato peso. Leone era piccolissimo, aveva solo diciotto mesi, quando, a seguito di un’attenta valutazione medica, siamo arrivati ad una diagnosi certa e abbiamo scoperto a cosa saremmo andati incontro. Da quel momento in poi, tutto è cambiato.

La storia di Leone e della vostra famiglia é d’ispirazione per molte famiglie che si trovano nella stessa situazione. Cosa vuol dire avere un figlio autistico e cosa significa vivere tutto ciò nella quotidianità?

Avere un figlio autistico comporta certamente delle difficoltà, nella vita quotidiana. Significa impegno, preoccupazione, cura. L’autismo è un qualcosa che entra a gamba tesa. Spalanca le porte, senza chiedere il permesso, e non guarda in faccia a nessuno. È come una macchia d’olio che si espande e si prende tutto lo spazio che c’è. Personalmente, sono sempre stata realista: ho sempre cercato di affrontare tutto con raziocinio. Giorno per giorno. Tuttavia, è anche vero che non è ciò che una mamma si aspetta, né che spererebbe per sé stessa e per il proprio bambino. Si vive molto spesso inseguendo la falsa logica del “a me non accadrà”. E poi, si rimane tutto d’un tratto senza fiato. Per questo motivo credo sia fondamentale lavorare su sé stessi. Non perdere mai la forza e la speranza. E avere il coraggio di farsi aiutare.

Insieme a tuo marito Manuele D’Oppido, hai fondato nel 2021 Fondazione Mente, un luogo che nasce con lo scopo di essere di supporto a tutti i ragazzi affetti da autismo. Raccontaci di Fondazione Mente e del progetto A(I)Utiamo.

Con mio marito Manuele abbiamo deciso di dar vita a Fondazione Mente spinti dalla nostra stessa storia, da ciò che abbiamo vissuto e da quello a cui siamo andati incontro. Parlando di mio figlio, Leone, ci siamo accorti delle sue capacità, del suo forte desiderio di imparare ed essere stimolato. Oltre a ciò, cosa fondamentale, abbiamo constatato come vi sia un contribuito non sufficiente da parte delle istituzioni, a livello di sostegno effettivo alle famiglie, e di comunicazione: a partire dai fondi, che non vengono stanziati come dovrebbero, al sostegno per quanto riguarda le terapie di cui questi bambini speciali hanno bisogno, e che le famiglie si trovano ad affrontare. Con Fondazione Mente, e nella fattispecie con il progetto A(I)Utiamo, vorremmo dar vita ad un centro che abbia il fine di operare e lavorare su tutti questi punti, che possa stimolare i ragazzi con autismo e che aiuti loro, e le loro famiglie, in tutte attività. Ci siamo resi conto del fatto che non esistesse un luogo che si dedicasse a tutto questo. Un posto sicuro, dove i bambini possano trascorrere il loro tempo, in armonia, divertendosi e utilizzando il gioco anche a scopo terapeutico, di integrazione con gli altri e mezzo di fonte inesauribile di stimoli. La Fondazione vuole dunque essere e diventare una presenza, una costante che faccia da accompagnamento nel corso della vita del bambino, per arrivare anche a garantire, a noi genitori, una maggiore tranquillità se si pensa a cosa avverrà «dopo di noi».

Quali sono, a tuo avviso, gli strumenti fondamentali che la società dovrebbe acquisire per lavorare sui disturbi cognitivi comportamentali? E cosa servirebbe, per migliorare l’assistenza alle famiglie che si ritrovano nella sua stessa situazione?

Tempo fa, sono stata intervistata da Mencarelli, il quale mi ha fatto un’intervista partendo dal racconto del suo libro dal titolo “Fame d’aria”. In quell’occasione, alla domanda «se potessi chiedere qualcosa, cosa sarebbe?», ho risposto «tutto!». Perché mio figlio, e tutti i ragazzi come lui, meritano tutto. In quella mia risposta, intendevo quindi che vi è sempre qualcosa da migliorare, su cui lavorare, qualcosa che manca. Pensiamo al fatto, ad esempio, che viviamo oggi in un paese dove i concetti di “accettazione” ed “accoglienza” non rappresentano propriamente i punti cardine della nostra società. Parliamo di inclusione ma in realtà, nel concreto, non abbracciamo affatto questo pensiero. Io per esempio ritengo che la comunicazione sia fondamentale, per far arrivare al nostro ascoltatore un messaggio. E per cambiare. Oggi, finalmente, l’autismo è un tema di cui si parla sempre di più, e di questo sono estremamente felice. Tuttavia, non si parla di quel 30% di autistici gravi, che fanno parte della realtà di oggi: autolesionisti, non verbali, con gravi problemi cognitivi. O tutte queste cose insieme. Dovremmo avere più coraggio di parlare anche di ciò che è meno evidente e più scomodo da accettare. Bisogna creare percorsi, strade, organizzare attività. Bisogna parlare di più ed utilizzare tutti i mezzi a noi concessi per diffondere tutto ciò che sappiamo, per fare del bene e per dare a tutti i ragazzi affetti da autismo, un aiuto concreto. La verità è che non basterebbero dieci pagine, per dire tutto quello che si potrebbe fare. Iniziamo però dalle piccole cose, e facciamole davvero.

Quanto è importante lasciare andare le difese, le barriere, e chiedere aiuto?

È fondamentale, a mio avviso, avere la capacità e la forza di chiedere aiuto, di accettare la realtà e di farsi aiutare, anche se risulta difficile e quasi impossibile. Si ha quasi paura, oggi, nella nostra società, a domandare supporto. Forse per una mancata e buona comunicazione o per un discorso culturale…Si prova quasi vergogna. E si ha paura di essere giudicati. Dovremmo tutti leggere, ascoltare, informarci, e documentarci di più. Questo è ciò che cerco di fare io tutti i giorni, per il bene di mio figlio.

Noi essere umani siamo legati, di natura, ai gesti affettivi corporei. A un abbraccio, ad un bacio. In che modo, in tal senso, ti rapporti a tuo figlio?

Leone, purtroppo, non possedeva l’istinto di dare affetto. Ho quindi, da mamma, dovuto aspettare moltissimo per un ricevere da lui un bacio e un abbraccio. Mi ritengo però fortunata perché siamo riusciti a insegnargli che cos’è l’affetto, l’amore, il contatto fisico, ed oggi abbiamo un bambino estremamente affettuoso e dolce, che ti abbraccia e dà baci spontaneamente. A differenza di ciò che si può pensare, in riferimento ad un bambino che soffre di autismo, e che non comunica verbalmente, Leone sa leggere l’anima delle persone. E decide lui stesso, con consapevolezza, con chi condividere sé stesso e la sua parte più pura. Con lui ho imparato che non bisogna arrendersi mai, ma lottare sempre. E questo è quello che ho fatto. Non ho mai mollato ed il risultato, oggi, è un bambino affettuoso, che ama fare mille cose, che esce anche quando è l’umore non è dei migliori o quando l’autolesionismo vive e rivive in lui. Certo, dietro a tutto questo si celano fatica e sacrifici ma, allo stesso tempo, il ritorno e ciò che vedo in lui è semplicemente impagabile.

Pregiudizio e cura. Due parole significative. Che significato hanno per te?

Il pregiudizio deriva dall’ignoranza. È quando non conosci, quando non sai cosa hai davanti e non ti interessa comprendere. Tutti noi possiamo peccare di pregiudizio, giungendo a volte a conclusioni affrettate. Siamo esseri umani ed è in un certo senso normale, é però la voglia di andare oltre, di conoscere, di scoprire, che fa la differenza. Cura invece è per me una parola fondamentale. Significa voler bene. Significa amare e prendersi cura di qualcosa o di qualcuno. Tenere all’altra persona, alla propria vita o al proprio lavoro. La cura dovrebbe essere alla base di tutto. Il concetto di cura, poi, quando si parla di una madre e di un figlio, è ancora più amplificato. Ed è un sentimento meraviglioso.

In una nota, hai scritto “’autismo è trovare interesse in un rumore che a tutti gli altri dà solo fastidio.” Qual è la più grande speranza per il futuro per il tuo bambino?

La mia più grande speranza è che lui possa essere, un giorno, quanto più autonomo possibile. Il solo pensiero, è un qualcosa che mi commuove…Spero che possa essere conscio della dignità della sua vita. Auguro a mio figlio di non perdere mai il suo sorriso, che per me significa tutto. Sono infinite le cose che posso sperare per lui. Gli auguro di poter condurre la sua vita al meglio delle sue possibilità. Fino alla fine. Ora, insieme a noi. Un domani, da solo.

Ph: Fabio Lovino