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L’universo del design si anima ogni anno a Milano durante il Fuorisalone, evento di spicco nello scenario internazionale. Paolo Casati, mente del Brera Design District, attraverso i suoi occhi esperti esplora la filosofia che sta dietro le prestigiose iniziative e racconta come entrambi i progetti si siano evoluti anche grazie alla tecnologia e ai social, considerando gli obiettivi che ha ambiziosamente perseguito nell’organizzazione. Le sfide manageriali da affrontare nella preparazione, attenzione e ricerca tra qualità e diversità nelle proposte dei partecipanti e il ruolo della comunità locale. Poi, lo sguardo sui trend emergenti – per lui più una cultura del progetto- e l’importanza crescente della sostenibilità nel settore in una panoramica stimolante e illuminante sull’ecosistema della creatività contemporanea La prossima edizione, con il tema “Materia Natura”, coinvolgerà la città meneghina dal 15 al 21 aprile.

Qual è la filosofia che sta dietro la creazione del Brera Design District e del Fuorisalone di Milano?

«Il progetto del Fuorisalone nasce sui banchi dell’università del Politecnico di Milano. Il design non doveva stare in un museo perché era qualcosa di vivo e una Design Week rappresentava un punto di partenza incredibile immaginando un sito che potesse raccontare l’evento storicizzandolo. Da qui l’idea, che nel 2002 diventa la mia tesi di laurea diventando una piattaforma strutturata con l’obiettivo di creare una piattaforma di servizi per orientare  il pubblico e  gli espositori. Fuorisalone è un’iniziativa spontanea che si sviluppa dal basso per volere della somma di tante piccole realtà che tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta cercavano un’opportunità dopo il Salone, quindi nell’orario serale quando la fiera chiudeva, e anche per aziende e designer che non avevano la possibilità di partecipare fisicamente. Il fenomeno cresce e si evolve fino ad arrivare agli anni Novanta, dove inizia ad essere molto riconosciuto. Negli anni 2000 abbiamo la sua esplosione che, nel 2003 e 2004, coincide con l’identificazione di alcune aree metropolitane: la prima operazione di marketing territoriale è stata zona Tortona per comunicare una parte della città proprio come zona quando ancora era divisa in quartieri, usando un segno distintivo quale un bollo rosso. Chiamati da Recapito Milanese in qualità di giovani designer, lavorammo a quel progetto e, in quel momento, capimmo l’importanza dell’aspetto comunicativo. Un episodio cruciale poiché ci portò a lavorare su altre zone tra il 2005 e il 2010 (Bovisa, Mecenate, Porta Romana) per poi arrivare a Brera, dove il Comune di Milano e la Camera di Commercio istituirono i Duc (Distretti urbani del commercio) che definivano definire aree cittadine che univano più quartieri. Così si costruisce il progetto Brera Design District, che quest’anno festeggia 15 anni e li celebra con un percorso che ha visto un’evoluzione fondamentale in occasione della Design Week. Oggi è un brand che, durante il Fuorisalone, promuove la Brera Design Week e ha una sua casa, il Brera Design Apartment. Ha anche una piattaforma di servizio per supportare le imprese, chiamata Brera Location, e ha editato un festival, i Brera Design Days, che si svolge in ottobre. Il prossimo autunno prenderà il via il Brera Magazine».

In che modo si sono evoluti entrambi i progetti nel corso degli anni?

«Fuorisalone.it è significativo per la dimensione di visionari che abbiamo avuto all’inizio, perché si è pensato ad una piattaforma che sfruttasse al meglio il web e che offrisse, grazie al digitale, tutti gli strumenti per orientare ed organizzare l’evento. Questo non è cambiato nel corso del tempo, anzi, è migliorato inventando tecnologie contemporanee. Per quanto riguarda Brera, i numeri parlano da soli: siamo passati da 70 showroom e 47 eventi della prima edizione a 196, permanenti che ne fanno il distretto di design più importante al mondo, con oltre 260 appuntamenti in una settimana. Grazie alle innovazioni tecnologiche, ai social media e a tutto ciò che ne consegue, siamo riusciti a perfezionare la struttura progettuale che si fa sempre più complessa».

Gli obiettivi che hai voluto raggiungere attraverso l’organizzazione del Fuorisalone?

«Con Fuorisalone sono stati quelli di passare dalla guida della  Design Week alla realizzazione di una vera piattaforma che si è trasformata in una Design Gyan  attiva tutto l’anno, cambiando l’approccio nel periodo del Covid. Oggi il sito è una rivista quotidiana online, una newsletter settimanale, è un profilo Instagram che racconta il design da tutti i punti di vista ogni giorno. Nel corso della Design Week, ha il suo momento di più alta celebrazione e visibilità. Una scommessa vinta con un’attività di ripensamento avvenuta durante la pandemia: seppure il Salone del Mobile non ci fosse, siamo riusciti a realizzare cinque edizioni di Fuorisalone full digital o phygital».

Le sfide principali che affronti nella preparazione di un evento così grande e prestigioso?

«La sfida è sempre una, quella di ridurre la complessità attraverso mezzi che la rendono accessibile ai più, offrendo servizi alle aziende che desiderano essere presenti e soluzioni di orientamento al pubblico. Si tratta di un grande evento che ne contiene quasi mille in città e, se non si dà uno strumento chiaro, trasversale, e con applicativi che consentono di orientarsi, diventa totalmente inutilizzabile. Lo scopo è quello di migliorare annualmente tramite nuove funzionalità».

Come coniughi qualità e diversità delle proposte nel processo di selezione dei partecipanti?

«I partecipanti non si selezionano, nel senso che Fuorisalone ha già nel suo Dna l’essere anarchico, spontaneo e libero. Chiunque può individuare uno spazio e presentare ciò che vuole all’interno dei luoghi cittadini: per esempio, partecipare a collettive oppure a progetti di zona, i quali hanno un contenitore ed un contesto, o svelare un progetto liberamente. Nel momento in cui qualcuno alza la bandiera del termine qualità, lo fa perché non ha le competenze per comprendere la portata del fenomeno e tenta di imbrigliarci. Ma un evento che nasce spontaneamente deve rimanere tale. Dopodiché, in questa sua spontaneità, bisogna avere la capacità di orientarsi verso ciò che può essere di interesse per i visitatori».

Riesci a coinvolgere la comunità locale nelle varie iniziative?

«Il Fuorisalone è il più ampio vettore di investimenti di Milano e si porta dietro, grazie alla quantità di eventi che propone, un forte indotto economico. Quindi, per gli addetti ai lavori è un’enorme opportunità: per i commercianti, gli alberghi, i ristoratori e tutte le realtà che lavorano con il pubblico, in particolare quelle che si trovano nelle zone interessate e a Brera, il Fuorisalone costituisce il fatturato di due mesi. Si parla di cifre stimate che non hanno un fondamento, poiché non siamo mai riusciti a contabilizzarle in maniera organica, però sono dati considerevoli. Il Fuorisalone ormai è parte del Dna milanese, un fenomeno culturale che si aspetta tutto l’anno e, dunque, qualcosa di noto e conosciuto. Il rovescio della medaglia è che, essendo così popolare e accessibile, diviene un po’ limitante a causa delle code, della presenza di un visitatore curioso più che interessato e di non addicted. Ciò genera qualche problema gestionale degli accessi per il target di riferimento, è necessario trovare un modo per gestire al meglio i flussi coinvolgendo negli incontri principali chi viene per la sua professione. Attualmente, nella Design Week, i veri protagonisti sono la moda, la tecnologia e l’automotive».

Quali sono le tendenze emergenti nel design?

«Più che di trend, parlerei di una cultura del progetto. La tendenza si rifà a qualcosa di effimero mentre il design, per come lo intendiamo noi, si lega all’assetto culturale che affrontiamo ogni anno con un tema. Il prossimo sarà “Materia Natura”, riflessione su ciò che abbiamo visto e vissuto la scorsa edizione e in continuità con quelli precedenti. Si parla di sostenibilità senza usare questa parola. La sfida è indagare il rapporto fragile che c’è tra l’uomo e l’ambiente in cui viviamo e il materiale che consumiamo: nuovi utilizzi, che guardano al recupero e al riuso da un ciclo di fine vita, o materiali naturali come gli scarti che si tramutano in altro. Poi, uno studio su quelli bio, che sconfinano nella dimensione dell’arte. Il design è sostenibile per definizione poiché ciò che è ben fatto dura nel tempo. In questo modo, non compro nulla di nuovo ma produco o riutilizzo l’usato».

A che punto è la sostenibilità nel settore?

«Il tema “Materia Natura” non deve essere rispettato, tuttavia è uno meccanismo di narrazione per orientare il pubblico e sensibilizzarlo sull’argomento. Dietro un fenomeno commerciale come il Fuorisalone, c’è anche il lato stimolante della ricerca e, per diverse aziende, è una sorta di guida a cui fare riferimento e prestare attenzione per un confronto. Sono numerose quelle che lo citano, lo riprendono e, in qualche maniera, sono loro stesse a domandarsi cosa stanno facendo di concreto in termini di responsabilità sociale e sostenibilità. Per noi è un bellissimo esercizio».

Gustavo Marco Cipolla

Gustavo Marco Cipolla

Storyteller, appassionato di tutto ciò che è indie, travelholic. Mi piace raccontare le immagini attraverso le parole e impazzisco per l’alternative rock. Collaboro con diverse testate nazionali, mi occupo di moda, arte, cinema, musica e LifeStyle. Svolgo, inoltre, l'attività di addetto stampa, content writer e communication consultant in ambito culturale e per alcuni brand. Penso dunque scrivo.