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“La moda? Un modo per essere quello che sono…”. È Jacopo Olmo Antinori, classe 97’, giovane attore che a soli 14 anni incontra e viene diretto dal grande maestro Bertolucci. Figlio d’arte, sognava di fare l’astronauta, ma il suo talento naturale non passa certo inosservato. Così oggi può già vantare la partecipazione a progetti internazionali al fianco di star hollywoodiane e lo attende una promettente carriera nelle serie tv più seguite del momento.

Figlio d’arte, hai conosciuto presto il dramma e la recitazione: hai sempre pensato di diventare attore?
Assolutamente no. Quello dell’attore era sempre stato “il lavoro di mia mamma” per me, e perciò una cosa noiosa e senza attrattive di alcun tipo. Ogni tanto mi capitava anche di frequentare dei set (ovviamente sempre attraverso mia madre), ma non era mai scattata la scintilla. Nemmeno con il cinema come forma d’arte, a dirla tutta. Io da piccolo volevo fare prima l’astronauta, poi il medico… A dodici anni fantasticavo di andarmene in Norvegia a suonare la chitarra in gruppo black metal. Onestamente, non avrei potuto prevedere in alcun modo di finire a fare l’attore.

Hai avuto l’opportunità da giovanissimo di lavorare con uno dei più grandi registi. Che immagine avevi di Bernardo Bertolucci?
L’immagine che avevo di Bernardo è quella che ho ancora oggi, e che certamente continuerò ad avere per il resto della mia vita. A volte mi è un po’ difficile raccontare questa cosa a parole, ma ci provo: Bernardo è una persona di un’umanità sconvolgente. Ha questa capacità unica di coniugare una grande dolcezza a un senso dell’umorismo pungente, il tutto con leggerezza. È una personalità profondamente poetica, mi viene da dire. E poi è un genio, un maestro.
La mia gratitudine per lui va davvero aldilà delle parole, soprattutto perché, in un certo senso, è stato lui a capire che dovevo fare l’attore nella vita. È un secondo padre per me; un padre artistico, se vogliamo.

Che cosa ha rappresentato per te quell’esperienza?
Anche qui, è difficile spiegare in un modo che renda giustizia ai fatti. Ricordo come, quando presentammo il film a Cannes, una delle prime domande che mi venne fatta fu una cosa del tipo: “in che modo girare questo film ti ha cambiato?” Io risposi di non essere in grado di dirlo, che avrei dovuto aspettare cinque o dieci anni per rispondere. Ecco, tra poco saranno passati sette anni, e piano piano comincio a poter rispondere.
Hai quattordici anni e ti trovi “rinchiuso” su un set di Bernardo Bertolucci per due mesi e mezzo. Lavori tutti i giorni, sei costantemente davanti alla macchina da presa. Ed è la prima volta che lo fai. In qualche modo, non poteva che essere un’esperienza molto profonda. Una di quelle che si rendono chiare solo con l’aiuto del tempo. Lì per lì io semplicemente di mi divertivo, mi divertivo come un matto ad essere al centro di questo grande circo – la troupe – che lentamente ma inesorabilmente si è trasformato in una splendida famiglia. Girare “Io e Te” mi ha fatto bruciare non poche tappe nella mia crescita come essere umano, e mi ha donato un ricordo meraviglioso e indistruttibile. Mi ha insegnato cosa significa professionalità e rispetto nel lavoro. Mi ha insegnato a mantenere la concentrazione e il sangue freddo in periodi intensi in cui impegni e responsabilità si accavallano (le riprese sono coincise perfettamente con l’inizio del mio percorso al liceo). Mi ha insegnato a credere un po’ di più nelle mie capacità. Ma soprattutto, mi ha insegnato ad amare il cinema.

Catapultato nel mondo del cinema dopo “The Dinner”, “Nessuno mi pettina bene come il vento” e “Zeta”, di recente, sei stato scelto in un progetto internazionale di altissimo livello che ti ha visto recitare accanto a Joaquin Phoenix e Rooney Mara…ci racconti i tuoi giorni sul set?
Sono stati pochi, ma molto significativi. Giravamo su questa enorme spiaggia in Sicilia, vicino Trapani. Era Ottobre.
La prima cosa che mi viene da dire è che non avevo mai avuto modo di toccare con mano la realtà di una macchina produttiva di quelle dimensioni. I macchinari, i mezzi di trasporto, le cosiddette “risorse umane” sfruttate per girare il film mi hanno colpito molto all’inizio.
Ma questo era solo l’antipasto, ovviamente. Il piatto forte è arrivato quando ho avuto modo di relazionarmi con gli attori protagonisti. Rooney Mara mi è sembrata molto riservata, e con questo non intendo dire snob. Solo riservata. Mi è sembrata molto timida. Joaquin Phoenix mi ha fatto quasi paura. Lui è davvero uno di quegli attori che si dice hanno “una presenza.” Io potevo sentire il fatto che fosse intorno a me, anche se magari non riuscivo a vederlo. Sarà stata solo la soggezione di un ragazzino di 19 anni, ma mi ha fatto piuttosto impressione. Con Chiwetel Ejiofor invece ho fatto quasi amicizia. Ricordo ancora con estremo piacere una lunghissima chiacchierata fatta con lui sul set a proposito di fisica e teoria della simulazione. Lui si diceva d’accordo con Elon Musk nell’ipotizzare che tutta la realtà intorno a noi sia una simulazione. Io invece penso che siamo liberi di decidere cosa fare della nostra vita.

Ma presto ti vedremo anche nella serie Tv I Medici che sarà visibile su Netflix dal prossimo autunno…puoi darci qualche anticipazione?
Posso dirvi che sarà una bellissima serie. E che per il mio personaggio sarà una sorta di piccolo romanzo di formazione. E che non vedo l’ora che esca!

Pochi giorni fa sei stato tra i protagonisti di Convivio Milano, che rapporto hai con la moda?
Devo essere sincero, il mio rapporto con la moda non è stato mai particolarmente approfondito. I vestiti mi piacciono da morire e mi diverto tanto a sperimentare, a cambiare stile da un giorno all’altro, ma non ho mai seguito sistematicamente il mondo della moda. Ci sono una serie di firme che mi piacciono molto – tra le quali ci tengo in particolare a citare Balmain, che mi ha offerto lo scorso Gennaio la possibilità di assistere alla prima sfilata della mia vita! – ma non posso certo ritenermi un esperto.
Aldilà degli aspetti di vanità che riconosco nell’uso che faccio dei vestiti, devo dire che la moda mi interessa anche (e non poco) come strumento di affermazione dell’identità. Negli ultimi anni ho iniziato a notare che tutte le volte che provavo qualcosa di nuovo – soprattutto magari qualcosa di “strano” – con i vestiti, mi sentivo un pizzico più libero, un pizzico più indipendente, un pizzico più capace di essere quello che sono. Certamente, da questo punto di vista il mondo della moda è un’oasi felice per me. È un luogo in cui la stranezza, l’anti-convenzionalità è rispettata, e anzi incoraggiata. E questo io lo trovo giusto, divertente, e bello.

Location: Palazzo Madama
Photo: Alessandro Pizzi
Makeup: Raffaele Schioppo per Simone Belli agency
Hair: Alessandro Rocchi per Simone Belli agency
Total Look Gucci
Trench & t shirt SUNNEI, bermuda Random, sneakers Gucci