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L’umiltà dei sogni

Il nervosismo che precede un’intervista viene demolito subito quando dall’altra parte ti ritrovi un interlocutore estremamente empatico come Gabrio Gentilini.

Un ragazzo giovanissimo, un uomo con le idee chiare, quella con Gabrio più che un’intervista è sembrata una chiacchierata tra due amici che non si sentivano da un po’ di tempo.

Dalla sua ha già esperienze importanti a curriculum, esperienze che farebbero montare la testa a chiunque, ma quella con la quale ti relazioni è una persona umile e decisa, che ti parla dei suoi sogni che non sono platonici, ma veri e propri progetti in corso d’opera.

Il carisma e la personalità di Gabrio sono tanto forti che finisci con il pensare che tutto è possibile, la sua ambizione e la sua determinazione sono tanto forti da riuscire a stimolarti e darti una carica di energia positiva.

Sacrificio, impegno, umiltà e conquista, queste sono le parole d’ordine, credo che sentiremo parlare spesso di questo giovane talento.

Ed è così che Gabrio, in compagnia del suo gatto Gregorio, ha condiviso con la nostra redazione i suoi sogni e i suoi progetti.

INTERVISTA :

1: Iniziamo come sempre l’intervista con la domanda più banale e difficile di tutte, chi è Gabrio?

Bhe, Gabrio è un essere umano, sono un essere umano che cerca di essere umano, un essere umano in cammino.

E’ difficile descriversi e non amo molto le definizioni, sono in fase evolutiva come tutti credo, “human being _ being human”, l’ho scritto sul mio profilo instagram.

Non mi piace definirmi solo con quello che faccio, è chiaro sono un attore, sono un ragazzo e come tutti ho molti sogni, alcuni grandi e difficili, e voglio realizzarli tutti, ma non riesco a definirmi, moriamo ogni secondo e nasciamo di continuo, posso definirmi solo un essere umano in cammino.

2: Sei giovanissimo, eppure già vanti sul curriculum esperienze teatrali importanti, soprattutto nel musical, hai interpretato ruoli iconici come Tony Manero, Johnny Castle, come ti sei sentito nell’interpretare personaggi che hanno ispirato intere generazioni?

Cerco sempre di approcciare a tutti i personaggi con “incoscienza” e una “sana ignoranza”, nel senso che se vedi quello che hanno fatto gli altri rischi di deprimerti o peggio di entrare in un  confronto che non ha senso, perché quegli attori hanno lasciato un segno che è leggendario e hanno creato dei miti.

Ovviamente c’è sempre una responsabilità nel prendere in carico questi personaggi e rispetto alle aspettative che il pubblico si fa, ma  bisogna lasciarle andare, perché se vuoi essere artista, davvero  e non  semplicemente un esecutore, bisogna aprirsi alla creatività e alla creazione.

 La creazione si crea dal nulla,  è chiaro che ho attinto all’immaginario collettivo che vive intorno a questi personaggi, soprattutto per quanto riguarda “Dirty Dancing”, per il quale mi sono accorto soltanto dopo di quante aspettative ci fossero da parte del pubblico.

Per fortuna sono stato un po’ incosciente, da un lato sono stato fortunato perché il fatto che questi personaggi fossero mitici ha avvantaggiato anche me, nel non dover spiegare una storia che anzi non vedevano l’ora di ritrovare. Mentre dall’altro lato devi riuscire a “far dimenticare” dei miti, che è la cosa più difficile, quindi devi partire da zero aprendoti al nulla e vedere che succede.

A volte hai un riscontro positivo altre volte meno, io sono contentissimo di quello che è stato e adesso sto cercando in questo nuovo divenire di intraprendere un percorso nuovo, per essere magari io il prossimo a creare un personaggio iconico che magari qualcun altro erediterà.

3: Il tuo essere un “essere umano in movimento”  e la voglia di migliorarti sempre, ti hanno portato nonostante la fama raggiunta nel teatro musicale ad andare a studiare recitazione alla “Acting Studio di New York”, quanto è stata importante quest’esperienza?

Era un sogno che avevo da un pò di anni e dopo l’ultima sessione di repliche di “Dirty Dancing” a Roma ero entrato in crisi, nonostante avessi più cose che andassero bene, sentivo che c’era qualcosa che non andava. Ero anche protagonista in uno spettacolo di successo, ma volevo andare più a fondo nella recitazione e sentivo che quel ambiente che mi ha dato tanto non mi bastava più.

Credo che se vuoi andare più a fondo nelle storie, nelle interpretazioni  dei personaggi, la macchina del musical rischia di essere un po’ limitante, ci sono tante cose in gioco che precedono l’interpretazione, la performance piuttosto che la storia e le relazioni che metti in scena .

Sono partito perché volevo approfondire un metodo di recitazione che avevo conosciuto qui in Italia, la “tecnica meisner”, che è una tecnica che qui in Italia ancora è poco apprezzata, ma che ti permette di vivere improvvisando sulle battute e crea la naturalezza che vediamo nei film americani.

Una tecnica che ti insegna a vivere “nel qui e nell’ora”, che è la mia filosofia di vita, momento per momento, è stata un’esperienza molto ricca e intensa e da li ho raccolto una serie di informazioni che mi hanno poi portato a cambiare percorso.

4: C’è voluto coraggio per lasciare il mondo del musical, che ti offriva delle certezze?

Ho lasciato momentaneamente il musical e mi sono aperto alla prosa e al cinema con piccole esperienze, che spero diventino sempre più importanti.

A un certo punto non è stato difficile cambiare rotta perché ho sentito un’ urgenza nel cambiare qualcosa,  mi riconosco un coraggio nell’aver rifiutato delle proposte importanti che in altri momenti della vita sognavo, ma non sentivo più quel fuoco sacro che ti spinge a portare avanti un progetto.

Tutti noi lo abbiamo, ma non sempre lo ascoltiamo perché vogliamo dar ragione alla logica, alla mente, piuttosto che all’urgenza di esprimere ciò che il nostro animo ci sta urlando, per un contratto, un ruolo , delle entrate, allora si, mi riconosco una forma di coraggio.

Ma di fatto, quando ti ascolti, non è cosi difficile prendere determinate decisioni, si cambia, capisci che c’è tanto altro e io non mi accontento, poi non so se finirò scontento, ma mi basto già ora, sto bene, mi sarei accorto di eventuali rimpianti e credo di aver fatto la scelta giusta.

5: Oggi sei in scena con la “Dodicesima Notte”, come stai vivendo questa nuova esperienza?

Sono in scena con la “Dodicesima notte”, un testo di Shakespeare in scena per l’ultimo weekend al Silvano Toti Globe Theatre di Roma, all’interno di Villa Borghese, una riproduzione dello Shakespiriano Globe inglese, che tutte le estati propone una rappresentazione shakespiriana.

Quest’anno a causa del covid  siamo partiti in ritardo, siamo 13 attori in scena e 4 musicisti, è stato complesso fare una regia dove vige il distanziamento, un aneddoto carino è che abbiamo trovato il modo di sanificarci le mani senza che la gente se ne accorga.

Abbiamo messo in scena uno spettacolo che ha entusiasmato il pubblico tanto che è stato prorogato, doveva finire il 26 settembre e oggi è ancora in scena, nonostante il freddo perché è un teatro semi aperto.

Dovrei  tornare con “The boys in the band”, per ora si sa solo di date a Roma e Gorizia a Marzo, salvo imprevisti.

The boys in the band attualmente è presente con un remake su Netflix, ma vi invito a vedere anche l’originale del 70, che ha una vecchia regia, ma ha un approccio più realistico alla situazione dell’epoca dei personaggi.

6: Dal musical, alla prosa, alla tv con il debutto nella fiction “L’ispettore Coliandro 6”. Tv e teatro sono due mondi differenti, quale palco ti emoziona di più o su quale ti senti più a tuo agio? E’ meglio essere dietro una camera o su un palco con un pubblico?

La mia prima grossa esperienza con la camera è stata la partecipazione alla serie: “L’Ispettore Coliandro”, ho avuto la possibilità di vivere la vita di set per qualche giorno, ed è stato utile per capire il meccanismo di quel mondo.

Spero e mi auguro di vivere tante esperienze con il cinema, ma il palco ha una magia unica, è inutile negarlo, al di la di quanto una o l’altra situazione possa essere bella o gratificante, quello che ti da un esperienza con il pubblico in sala è una sensazione unica.

Non è una cosa che avviene tra te e la camera, ma è uno scambio totale tra te, chi è dietro le quinte, i colleghi sul palco e il pubblico in sala.

Sono due sensazioni opposte e meravigliose in modi differenti.

Il teatro senza pubblico non ha senso, da sempre porta con sè un senso terapeutico, a livello personale la sensazione di tensione che si scioglie, l’entrare sempre più in un personaggio, liberarsi completamente.

D’altra parte nel cinema vivi il “cogli l’attimo”, lo riesci a fermare e puoi essere ancora più naturale, nel teatro c’è un fattore tecnico che creerà sempre una sorta di artificio, che è superato dalla recitazione cinematografica, sono entrambe esperienze uniche.

6: Concludiamo con una domanda di rito, come si vede Gabrio nel futuro?

Cerco di vedermi come ora,  in ascolto, di quello che accade dentro e intorno a me, visto che stiamo vivendo periodi in cui il futuro è cosi incerto e credo che l’unica certezza ce la possiamo dare noi, trovando il modo di stare sempre in piedi e saldi, legati a ciò che è il nostro sentire i nostri desideri, sogni e le nostre aspettative.

Nel futuro mi vedo come ora, sono felice di quello che sono, ma il mio sogno è quello di dividermi tra teatro e cinema, avere come artista la possibilità di decidere che fare, cosa andare a interpretare , credo sia il più grande lusso che un artista possa permettersi, e spero anche di autoprodurre un giorno.

Il più grande desiderio è poi avere una famiglia mia, sogno di adottare dei bambini, e spero di poter aiutare gli altri, ho dei sogni nascosti che tengo per me ma spero di poterli realizzare tutti un domani.

Quindi occhi aperti su questo talento, che siamo sicuri ha tutte le carte in regola per sfondare sul grande schermo, e noi non vediamo l’ora di intervistarlo un’altra volta.