Skip to main content

Dopo 4 anni Michele Bravi è tornato. L’artista umbro torna sulle scene musicali con la solita grazia e sensibilità che lo caratterizza e con un nuovo album “La geografia del buio” in uscita il 29 gennaio, giorno in cui l’album sarà disponibile nei negozi, in streaming e in digitale.

Orientarsi nel buio – racconta Bravi- significa stabilire le coordinate di un luogo oscuro, conoscerne gli spazi, abitarlo, arredarlo. Avere le parole per dire il caos non salva da niente ma almeno disegna il labirinto. “La geografia del buio” è il racconto bendato attraverso quel labirinto di ombre e racconta, tra momenti di silenzio e il suono legnoso di un pianoforte verticale, un messaggio tanto semplice quanto potente: il buio, come il dolore, è solo una condizione e non esiste un senso o un significato. L’unica direzione che si può dare alla propria sofferenza è quella della condivisione affinché suggerisca ad un altro dolore, quasi conducendolo per mano, qual è la strada da percorrere nell’ombra.

Questo disco, “malinconicamente casalingo” (arrangiato e scritto in casa), è la più grande dichiarazione d’amore che l’artista abbia mai fatto e, al tempo stesso, è un disco che nasce dalla più grande solitudine e dal più grande dolore che l’artista ha mai vissuto. La musica ha si decifrato il dolore, ma è stata la terapia a salvare Michele, a dare al suo dolore una casa.

Il dolore è difficile da raccontare, ma l’artista riesce a farlo nelle dieci tracce di inediti con una sincerità ed una onestà che non lascia indifferenti. Una condivisione o per meglio dire “Una geografia del dolore” che in parallelo ricorda un libro che ha molto segnato Michele: Diario di un dolore di C.S.Lewis. Pubblicato nel 1961 sotto lo pseudonimo di N.W. Clerk, questo breve libro racconta la reazione dello scrittore britannico alla morte della moglie: “Credevo di poter descrivere uno stato, fare una mappa dell’afflizione. Invece l’afflizione si è rivelata non uno stato, ma un processo. Non le serve una mappa ma una storia, e se non smetto di scrivere questa storia in un punto del tutto arbitrario, non vedo per quale motivo dovrei mai smettere. Ogni giorno c’è qualche novità da registrare“.

L’album è costituito da 10 tracce, tra cui i singoli “La vita breve dei coriandoli” e “Mantieni il bacio”. Ad accompagnare la voce di Michele è un pianoforte verticale di inizi ‘900 suonato in tutti i pezzi da Andrea Manzoni, tranne nell’ultima traccia “A sette passi di distanza” in cui è Michele a farlo.

Il pezzo è completamente strumentale, senza voce raccontandosi come quando ancora non riusciva a farlo con le parole. Questo brano è stato la chiave di volta nel percorso suo guarigione, quando non era ancora pronto a esprimere a voce quello che stava provando, ha iniziato il suo viaggio verso la guarigione esprimendo se stesso nelle note.

La mia voce – afferma Michele – non si sente nel pezzo, ma c’è, è solo nascosta ancora. Le mani che suonano il pianoforte sono le mie, incerte e timide. Quella persona a cui il disco è dedicato è ormai dall’altra parte del mondo e non è più una presenza della mia quotidianità. Gabriel García Márquez per descrivere la distanza geografica di due amanti che si rincorrono per una vita scrisse: “Non erano a sette passi di distanza ma in due giorni diversi”.

Michele è cresciuto. A renderlo più maturo è servito quel dolore improvviso che ha illuminato in lui un nuovo modo di vivere e sentire le cose che prima non c’era.