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Nel 1820, sull’isola di Milo, nell’arcipelago delle Cicladi sud occidentali, il contadino Yorgos Kentrotas era intento a scavare nei pressi di un antico teatro. Per caso, l’uomo si imbatté in una delicata statua: un disarmante busto di donna. Ne rimase, incredibilmente, affascinato. Tutti decisero di chiamare quell’opera: la Venere di Milo. I pezzi della statua, pian piano, furono ritrovati e riuniti insieme. Eppure, la misteriosa donna era priva delle sue braccia, mai più rinvenute. La Venere di Milo tornava alla luce ma con dei tasselli mancanti. Una statua può essere bella anche senza le sue braccia? Può esprimere tutto il suo amore?

Il Museo del Louvre l’ha accolta e le ha permesso di splendere, di illuminare lo sguardo delle persone che, ogni giorno, ancora oggi, si soffermano ad osservare la sua luce, quella particolare arte dove il tempo e lo spazio combaciano, quella donna silenziosa e colma d’eleganza, composta da rarità e bellezza, bene ed umanità. Quando penso a Francesca Fioretti, la immagino esattamente così. Una Venere di Milo, con una delicatezza capace di avvolgere e portare luminosità negli angoli di una stanza, con una forza che disarma ed incanta le persone intorno, un amore che accoglie ed abbraccia la vita, nonostante tutto.

Benvenuta, Francesca. Da qualche settimana, hai pubblicato il tuo canto di forza, dolore, rinascita dal titolo “Io sono più amore”. Partiamo proprio dal titolo, che significato ha, per te, la frase “Io sono più amore”?

La mia storia è la storia di un percorso lungo, complicato che mi ha fatto giungere alla consapevolezza che non sarò mai quella di prima. Sarò sempre un puzzle con un pezzo in più ,un puzzle sbagliato: io che dovevo essere meno invece sono più forte, io che dovevo avere meno, invece, sono più vera e integra. Io sono più amore.

Nelle prime pagine, affermi che scrivere è “come fare tutte le cose che ogni giorno per urgenza, necessità, amore e desiderio, ho imparato a fare da sola, per me stessa, per Vittoria”. La scrittura è un mezzo salvifico, per comunicare con gli altri e con se stessi, secondo te?

Sicuramente lo è, io però, personalmente, ho scelto di provare a farlo per mia figlia. Perché volevo che prima da adolescente, poi da donna più adulta, poi magari da madre, leggesse e rileggesse questo libro affinché le fosse chiaro non solo di quanto la ami ma di come nonostante tutto, ci sia sempre la luce e grazie all’accettazione e l’accoglimento del dolore come possa nascere anche dalle cose più brutte qualcosa di grandioso ed utile per la vita poiché io, ad oggi, sono una persona migliore.

Il dolore cambia forma e colore. Quanto è stato importante, per te, condividere la tua storia, i tuoi pensieri ed il tuo stato d’animo con altre persone, con dei lettori sconosciuti che magari, come te, hanno vissuto una perdita così inaspettata?

In questi anni, la mia storia l’ho gestita con tanta riservatezza ma non è stata un’imposizione di me stessa ma semplicemente un modo di essere. Per questo motivo, condividere il mio vissuto, con altre persone, ha rappresentato, per me, la chiusura di un cerchio, la fine di un percorso che in realtà non finirà mai. Ma il tempo scorre troppo velocemente ed io non voglio dimenticare nulla di ogni mio singolo passo lungo questo viaggio vissuto. Ed inoltre, penso e spero che questa storia sulla vita possa servire a riflettere.

Tra le pagine del libro leggo del primo viaggio a Berlino con Vittoria. E poi, della Turchia, Istanbul, Lapponia. Quanto è stato prezioso, per te, quel primo viaggio?

Berlino ha significato tanto per me e Vittoria , è stato il nostro primo viaggio da sole dopo marzo del 2018. Ha rappresentato la libertà. E dopo Berlino, ho capito che potevo continuare a scoprire il mondo con mia figlia in maniera diversa da prima ma senza perdere la curiosità di conoscere posti e persone nuove e senza perdere la voglia di vivere culture diverse. Dopo Berlino, ho riiniziato a prefissarmi delle mete da visitare con mia figlia. Ad oggi, ho una lista lunghissima. Ma sono sicura che non perderò una tappa.

Se pensi alla parola “Forza” a quale immagini riesci a collegarla, che sia un cielo, una luna, un luogo?

D’istinto, mi viene in mente la mia immagine. Ora, ho la consapevolezza del lungo percorso che ho fatto ed ho lavorato per riconoscere anche la mia forza.

Chi è Francesca, oggi e come si descriverebbe vista attraverso i suoi stessi occhi, come donna, come madre, come essere umano?

Francesca, ora, è una donna matura, una mamma che è madre, un essere umano sempre curioso.

Di che colore è dipinta la tua vita, adesso?

Di tutti i colori. Prima ne vedevo solo due: bianco o nero. Ora, li vedo tutti.

E la libertà, cosa significa per la tua esistenza?

Il dono più prezioso per la mia sopravvivenza. Ho lottato tutti i giorni per non perdere la mia libertà e rendere Vittoria una bambina felice.

Foto di Alessandro Treves