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Comprendere il contesto, la realtà in cui ci si trova, leggere sé stessi e poi gli altri. Non è semplice recitare e costruire un’armonia tra autenticità e rappresentazione.
Camilla Semino Favro è cresciuta sul palcoscenico, conosce bene il potere delle maschere, l’ambiguità tra essere e apparire, la narrazione di mondi. Nei suoi ruoli a teatro o per il piccolo e grande schermo Camilla porta sé stessa e la determinazione di chi ha studiato con passione. Recitare è un lavoro squilibrato che richiede tanto equilibrio, ma in fondo la più grande libertà, forse, è proprio quella di riuscire a scompaginare la realtà.

Teatro, televisione e cinema sono le tre dimensioni attraverso le quali ti reinventi in continuazione, il tuo universo libero, dalle infinite sfaccettature. Raccontaci come sei entrata in questo mondo e quali ruoli hanno rappresentato un punto di svolta professionale.
Più lo attraversi e più ti rendi conto di quanto sia immenso questo tipo di mondo e di mestiere. Agli occhi di tanti poi è solo un lavoro, ma in realtà dietro al mondo della recitazione si cela tanto altro, perché gli attori tante volte fanno effettivamente anche altro, un po’ per sopravvivere, perché parliamo comunque di un lavoro instabile, ma anche per arricchirsi. Quindi c’è chi fa doppiaggio, speakeraggio o chi insegna. É un lavoro dalle tante sfaccettature, che si apre come un mazzo di carte. Io sono entrata a farne parte da piccola, o meglio da adolescente, potrei dire inizialmente per caso, perché il veterinario del mio cane era un regista amatoriale di musical. La sua compagnia teatrale a Genova mi affascinava molto e poter lavorare con loro mi ha fatto scoprire quel desiderio di recitare che ha fatto da miccia per tutto il mio percorso. Terminato il liceo, la scuola teatrale di Genova ha rappresentato quindi un proseguimento naturale, sono cresciuta li dentro. Dunque, più che di ruoli che hanno portato ad una svolta, ti parlerei di fasi, di percorsi che ho intrapreso grazie ad alcune figure che mi hanno insegnato tanto. Sono cresciuta con la scuola del Piccolo, un’esperienza molto intensa e anche con il lavoro al Teatro dell’Elfo che, se vogliamo, è stata la mia culla. Il cambiamento poi nella recitazione avviene sempre in realtà, perché è come trovarsi davanti ad un prisma, serve quell’elasticità che permette di vedere e far percepire il mondo nelle sue tante sfumature diverse.

Quali sono gli interrogativi che, a tuo avviso, fanno da guida durante la formazione di un attore?
Penso che, inizialmente, non vi siano modelli, regole o interrogativi. Ѐ un lavoro che si sceglie di getto, quasi inconsapevolmente, una passione bruciante. Se si dovesse scegliere con lucidità, a tavolino, forse perderebbe lo slancio. Detto questo, è un lavoro che ti porta a grandi squilibri e dunque a porti molte domande. Non è, infatti, un lavoro stabile e di conseguenza devi saper prendere le giuste distanze, non solo per il tuo benessere psicologico, ma anche per poter progredire nella giusta maniera come attore. Sicuramente si può cambiare in bene o in male, ma quello che a mio avviso non può mancare è uno spirito di osservazione: sia verso l’esterno che verso l’interno. Si potrebbe dire che recitare è un lavoro squilibrato ma che richiede tanto equilibrio.

Gigi Proietti riprendendo un sonetto di Trilussa parlava di un teatro “dove tutto è finto, ma niente è falso”. Esistono dei confini a teatro?
Un tempo il teatro nasceva con una funzione di un certo tipo, ovvero di comunità, poi con il subentrare di tanti altri mezzi di comunicazione e con l’avvento della tecnologia tutto si è modificato. I confini esistono, ma li decidi tu quando valuti quanto puoi portare del teatro nella tua vita e soprattutto viceversa. In questo senso parlerei più che di confini, di barriere protettive dei due mondi.

Sei la protagonista principale del film biografico di una figura femminile. Chi vorresti interpretare e per quale motivo?
Questa domanda mi è stata posta anche di recente e devo ammettere che prima d’ora non ci avevo mai riflettuto veramente, perché ho sempre accolto quello che arrivava, nonostante esistano sicuramente diversi testi che mi suscitano delle curiosità. Un tipo di percorso che potrebbe essere interessante, perché si va a scavare in memorie personali, potrebbe essere quello di interpretare una figura legata alle proprie radici. Un altro, invece, potrebbe essere quello a cui pensavo l’altro giorno, esiste un mondo femminile terribilmente stereotipato legato ad una serie tv che avevo visto tempo fa su Moana Pozzi. Vorrei provare a calarmi in figure femminili, come Moana, apparentemente molto distanti da me, ma che poi sicuramente non lo sono. Figure stereotipate, perché inserite in un contesto che il genere maschile e femminile vedono in modo diverso e che portano con sé un immaginario, a mio avviso, estremamente interessante.

L’obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030 per uno sviluppo sostenibile promuove la parità di genere. L’orizzonte dell’uguaglianza passa dalla consapevolezza del proprio valore, in questo senso, la cultura televisiva può essere un mezzo di emancipazione o si rivela portatrice di stereotipi?
Sicuramente, va detto che ci troviamo in un periodo storico che registra un certo fermento per quanto riguarda l’impegno nella costruzione di una società che garantisca pari diritti a tutti. Nel mondo dello spettacolo ad esempio è nata “Amleta”, un’associazione che mira a contrastare la disparità e la violenza di genere e tante mie amiche e colleghe hanno deciso di farne parte. Se però andiamo a vedere cosa ha prodotto la TV, soprattutto negli anni Novanta, il quadro è desolante. L’immagine della donna è stata completamente devastata da una narrazione stereotipata, del genere “o angelicata o puttana”, e il problema è che per chi ci è cresciuto tutto ciò è normalità. Forse a teatro è più semplice scompaginare i ruoli, mentre in Tv è più complesso, ma il compito che dovremmo tutti darci è quello di cercare di cambiare. Come donne, in certi casi, dovremmo distaccarci dalla sindrome del timore reverenziale e sforzarci a portare quanto più di noi stesse in quello che facciamo. Il cambiamento profondo però arriva se lo si fa tutti insieme, uomini e donne.